Wednesday, March 24, 2010

24 marzo 1999 - aggressione NATO contro la RF di Jugoslavia


La guerra voluta da governi di sinistra - testo di Babsi Jones


15 febbraio 2003, Milano

C’è un signore che a voi che oggi siete a Roma vi ha dato dei farabutti. Intendo, l’elefantiaco messere in questione l’ha scritto con più garbo, ma a voi che oggi siete a Roma con le bandiere colorate vi ha detto, modaioli. Vi ha chiamato burattini fra le mani dei movimenti che — come passerelle della moda popolare, come operazioni di travolgente propaganda — obbediscono alle multinazionali della pace col culetto al caldo e la pancia piena: questo, vi ha detto. 

Quel signore con me non può parlare, perché io oggi a Roma non ci sto, e perché se vuole farsi due chiacchiere sull’etica della guerra lo invito a prendersi una tazza di caffè (turco) a Gnjilane e vediamo se la panza (la sua, non meno piena della vostra) non gli trema almeno un poco e non si caca nelle braghe. Però un sospetto m’è venuto. Che quel signore, un minimo di ragione — forse per caso — l’abbia pure trovata. Magari ci è inciampato passeggiando, nella ragione, come fosse un sasso, senza sapere di cosa si trattasse. Perché voi — tre milioni, trenta milioni, trecento milioni di bandierine multicolor che oggi cantate gli inni dei vostri padri davanti a Saigon — un po’ farabutti dovete esserlo per forza. E se non siete farabutti, può darsi siate dei bugiardi smemorati, o niente meno un minimo confusi.

Sono passati solo quattro anni. Era un’anticamera di primavera come questa, con qualche margherituccia sifilitica a fare capolino nelle aiuole delle vostre piazze. Era una primavera come questa, e i signori della guerra si giocavano a Risiko e a tavolino il destino di Belgrado. Raccontavano le cazzate madornali che i signori prepotenti devono raccontare per tenervi buoni come lumache storte o come tortellini in brodo: che a capo della cattiva Serbia c’era un feroce dittatore, un duce, un satrapo, un pericoloso criminale che minava l’ordine mondiale. Vi proiettavano le facce maciullate dei poveretti kosovari sugli schermi della sera, fra un telequiz e una ballerina colle tettine turgide, e voi (come i cagnetti memorabili che nei favolosi anni ‘70 facevano capolino dal lunotto delle Fiat in coda verso Rimini) facevate sìsìsì con la testa. Un movimento oscillatorio dall’alto verso il basso. E in basso, sinistrini e sinistrorsi, Diessini in fila all’Esselunga, cristianucci col crocefisso stilizzato, c’eravate caduti molto facilmente. 
Così in basso che il vostro Presidente del Consiglio fece un ingresso mesto in Parlamento e — dopo aver affisso l’articolo 11 della Costituzione nei cessi di Palazzo Chigi —, senza vergogna alcuna disse: signori miei, portino pazienza Marx e Che Guevara, Ho Chi Mihn e il Comandante Marcos, ma questa guerra s’ha da fare e la faremo. Più che l’amor poté una poltrona cremisi sotto le chiappe? O forse, ci sono guerre meno guerre delle altre, e le bandiere multicolor le avevate mandate tutte in tintoria. E disse proprio, il vostro lider maximo che oggi sfila con la faccia scarna di un John Lennon sfortunatamente ancora vivo:

...Ho ascoltato con rispetto le argomentazioni di quanti hanno scorto nell’azione militare della NATO il pericolo che si possa determinare un effetto opposto, e dunque un inasprimento della guerra e un aumento del numero delle vittime. Personalmente non è uno scenario che considero realistico. Risponderò comunque a questa preoccupazione e lo farò sulla base delle informazioni in nostro possesso. Ma con la stessa sincerità chiedo al Parlamento di non sacrificare in un passaggio tanto cruciale il valore di una coesione politica nazionale; la consapevolezza - trasversale ai diversi schieramenti - di una comune responsabilità verso gli interessi superiori del paese. Credo sia essenziale, in momenti come questi, la ricerca della più larga unità intorno all’azione e al ruolo internazionale dell’Italia. Solo un alto senso di responsabilità nazionale può rafforzare l’iniziativa diplomatica e l’efficacia delle scelte che siamo chiamati a compiere. La prima questione che è giusto affrontare riguarda la necessità dell’intervento armato. Se cioè esistevano, al punto cui si era giunti dopo la partenza dei mediatori, soluzioni alternative ed efficaci che non implicassero l’uso della forza...

Per tradurvi in gergo da mercato il politichese standard, vi disse che non dovevate fare tante storie, che la NATO richiedeva le basi militari di Ghedi e Aviano per sganciare due, tre, quattrocento tonnellate di uranio sulla Serbia, che era una guerra nuova (umanitaria, santa, legittima, preventiva, sbrigativa, intelligente) e dunque non vi venisse in mente di scendere in piazza a fare i girotondi e a canticchiare slogan perditempo. Perdìo, era una guerra di sinistra liberale, la prima della storia: dovevate avere un aspetto responsabile e il silenzio sclerotico degli omertosi. E voi — tre, tredici, trentatrè, trecentomila farabutti —, ammutoliti come ammutolisce una finestra chiusa, un incosciente o una bertuccia in gabbia, rimaneste a casa a far la calza, a far l’amore, a farvi i fatti vostri. 

Anime morte di sinistra, vi chiamammo. Sinistra di sciacalli, cristiani col muso delle iene. Erano pochi quelli col TARGET (più brutto, in bianco-e-nero, di carta in fotocopia, un gadget meno azzeccato delle bandiere arcobaleno: ora lo capisco, che c'entrava anche il marketing) che presidiavano i ponti nella notte chiedendo che non cominciasse la mattanza. E gli argomenti erano buoni, erano sacrosanti, erano veri, ed erano gli stessi che oggi vi riempiono le bocche come se fossero caramelle mou: che la guerra è la guerra dell’Impero, che con le bombe la democrazia non c’entra niente, che la convenzione di Ginevra e l’articolo 11 dovevano essere la sola nostra storia. Com’eravate sordi. Io scrivevo le mie tonnellate di parole perse, ve le scrivevo da Kragujevac e da Aleksinac, le ripetevo come ipnotizzata dagli ospedali di Belgrado fatti a pezzi e dalle piazze di Leskovac e di Pančevo, ve le spedivo dai ponti pronti a diventar macerie di Novi Sad. E vi dicevo: guardate cosa state bombardando, mettete i vostri nomi sulle bombe che sganciate, e ricordatevi la Serbia del ‘99: perché verrà il giorno in cui io tornerò a chiedervene conto, e a ricordarvi tutte le vostre colpe. 

QUEL GIORNO È OGGI, sinistrini sinistrati e sinistrorsi che sfilate con gli sfilatini al crudo nello zainetto e con le facce sorridenti fra le stelle filanti. Dov’eravate, portatori di pace e beati di giustizia, mentre l’Impero massacrava i belgradesi? I nomi di chi c’era, a far la ronda su una briciola di pace, a pitturare i NO sulle facciate delle case e sulle guance, me li ricordo tutti. Erano pochi. c’era Il Manifesto, c’era Rifondazione Comunista. C’era quello stesso Gino Strada che oggi state cristallizzando in un’icona (ma era solo, senza un gregge alle spalle a far da coro greco). C’era Peter Handke, coraggioso, c’era Fulvio Grimaldi. C’erano Nichi Vendola e Umberto Galimberti. E c’era Santoro, che c’era così tanto che trasmetteva da Belgrado. 
Voialtri, signorini della pace quattro stagioni, eravate a casa a fissare come beoti baciapile il videogame degli F16 in volo sui Balcani: zitti come zanzare secche. Vorrei tanto domandarvi perché la vostra pace-Giano ha due facce e facciate, come le medaglie e le monete, come gli strappi di carta igienica morbida morbida. Vorrei sapere perché questa pace, che domandiamo oggi accusando i generali di alto tradimento della giustizia e della libertà degli uomini non aveva ragione d’essere strillata come belle Cassandre anche per difendere Belgrado. Vorrei sapere perché in una primavera uguale a questa vi trangugiaste con disciplina filo-governativa la propaganda dei maiali bellici, e ora correte come pazzi a invocare il diritto internazionale e la tolleranza: gli stessi di cui vi siete fatti beffe quando a bombardare era la sinistra degli avvoltoi e dei venduti. 

Esiste una pace di serie A ed una di serie B, esiste una pace che deve andar di moda e una che deve essere lasciata nelle ragnatele dei sottoscala? 

La vostra pace a corrente alternata, oggi c’è domani non c’è più, la vostra pace a cottimo e a percentuale non mi piace affatto. È quel genere di pace farabutta che ha tutta l’aria di essere organizzata per vendere tonnellate di bandierine colorate, o per tesserarvi nel branco degli obbedienti. La vostra pace è la pace delle marionette che si muovono al comando di un Mangiafuoco: avete il coraggio di adoprare il cuore e il cervello solo quando vi autorizzano a schiacciare il tasto “start, my life in function”. Sfilate oggi a Roma sull’attenti, pronti a mostrare una coscienza civile presa a noleggio, seguendo la voce dei guru gandhiani, e non vi accorgete che siete credibili quanto può esserlo un ubriaco la notte di Capodanno. Sinistrini e sinistrorsi, girotondini e giubilanti, avete perso il treno per Belgrado nella primavera insanguinata del ‘99, e oggi i vostri canti di giustizia hanno il valore e il peso delle filastrocche deficienti. 

Un giorno sarete vecchi e stanchi, e capirete che se la pace è un’intermittenza come le luci in sfilza degli alberi a Natale, allora la vostra pace è un’impostura, è una crosta fragile e purulenta, non meno disgustosa e mercenaria di quanto lo sia la guerra, ogni guerra in ogni tempo.

1 comment:

балканска девојка said...

oggi è una giornata triste
ricordiamo centinaia di morti e la maggior parte erano donne e bambini
prego chiunque voglia parlare della politica italiana fermandosi alla prima frase di farlo per mail o su politibalkando
non togliamo lo scopo di questo post, ve ne prego
ho sentito lucio dalla dire che mentre era sul suo gommone a prendere il sole e a leggere il giornale nel mare, ha visto passare gli aerei carichi di morte ed è una cosa bruttissima vedere che mentre uno ride sereno un altro piange disperato
balkan_crew at yahoo.it

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