Questo post è dedicato alla favola Gilberto Vlaic
Slobodanka Ciric racconta come ha vissuto – qui, in Italia – il dramma del suo popolo aggredito e del suo paese bombardato e smembrato.
Nel racconto autobiografico emerge il difficile e tormentato processo di identificazione che si svolge in una duplice direzione: da una parte l’affermazione, per sé e verso gli altri, della propria identità in un paese nuovo e in una nuova realtà, identità contestualizzata senza mai prescindere dalla centralità del fattore umano, dall’altra il rafforzamento dell’appartenenza ad un popolo, quello serbo, lacerato dagli orrori di un conflitto costruito scientificamente, la cui presenza storica, spirituale e culturale rivive nella dolcezza dei ricordi che le impediscono di tradire se stessa e nella memoria orgogliosa che le riaccende la speranza.
“Boba” Ciric, pur nata ed educata in un paese del “socialismo reale”, non era una militante comunista. E, però, prima l’attacco surrettizio – economico e politico – volto allo smembramento di quel prodigio “pericoloso” che era la comunità dei popoli jugoslavi, poi l’aggressione militare e le stragi consumate dal “democraticissimo” Occidente e dal suo braccio armato – la NATO – suscitano in lei tumultuose esigenze di rabbia, di ribellione, di solidarietà che recuperano nella memoria della personale esperienza la straordinaria superiorità di valori e di relazioni umane – di uguaglianza, di solidarietà, di convivenza – vissute inconsapevolmente nella normalità quotidiana e oggi, invece, comprese perché brutalmente negate.
Ma Boba non vive la tragedia del suo paese e del suo popolo tra la propria gente: lei è al sicuro, in uno dei paesi aggressori, mentre in una situazione sempre difficile ricostruisce ostinatamente un suo percorso di vita. La lontananza la libera dalle conseguenze fisiche dell’aggressione, ma – tanto più – accresce la sofferenza morale. E Boba, allora, diventa una militante, non al servizio di un comunismo jugoslavo o serbo – che si era già dissolto –, né di una pietas cattolica – che storicamente e culturalmente non le appartiene –, ma di una dimensione umana che travalica le vìcende della storia e invera – per opera dei carnefici – i valori del socialismo assunti nella sua giovinezza.
C’è nel libro il racconto di un’esperienza fondamentale: Boba, giovane jugoslava in visita premio a Parigi, scopre che con i pochi franchi datele dal suo governo per le piccole spese da fare nella luccicante capitale occidentale può acquistare ben poco. Eppure se ne priva decidendo di donare quei pochi franchi ad un emarginato dello scintillante e opulento Occidente.
In questo gesto è racchiusa paradigmaticamente tutta l’esperienza solidale del ”socialismo reale” novecentesco, sovietico o titino che sia stato.
Anni dopo quella stessa giovane – obbligata ad esser serba, non più jugoslava – vive il dramma dello smembramento del suo paese e del massacro del suo popolo lontano dalla sua terra e dal suo martirio, mentre insegue il sogno di ricostruirsi una sua vita qui, in Italia.
Sofferenza per le ceneri a cui è stata cinicamente condannata la sua gente lontana, pudore per un sogno di vita – sofferto e tenacemente perseguito – sono le dolenti esperienze che questo libro – rigorosamente autobiografico – vuole rappresentare.
(Sergio Manes, editore)
... E io rimango qui, ad una fermata clandestina tra la realtà e il sogno, a far da contrabbandiera di scomode storie, esiliata dalla vecchia e decomposta pelle jugoslava, senza identità, in attesa di asilo in questa mia nuova pelle serba. Attendo, nuda e vulnerabile, nascosta sotto il manto della napoletanità, che finisca la mia tormentata metamorfosi in corso."
Nel racconto autobiografico dell'autrice emerge il difficile e tormentato processo di identificazione che si svolge in una duplice direzione: da una parte l'affermazione, per sé e verso gli altri, della propria identità in un paese nuovo e in una nuova realtà, identità contestualizzata senza mai prescindere dalla centralità del fattore umano, dall'altra il rafforzamento dell'appartenenza ad un popolo, quello serbo, lacerato dagli orrori di un conflitto costruito scientificamente, la cui presenza storica, spirituale e culturale rivive nella dolcezza dei ricordi che le impediscono di tradire se stessa e nella memoria orgogliosa che le riaccende la speranza.
“Mi chiedo se ha senso ustionarmi così come faccio io, rovistare tra le ceneri ancora bollenti delle verità bruciate, se ha senso gridare a squarciagola, e sentire nient’altro che l’eco delle proprie parole che cadono nel vuoto dell’indifferenza. Ha senso questo esilio dato ad ogni buon senso?”
Tratto da cnj.it
Il 13 Marzo alle ore 19.00 presso Modo Infoshop di Via Mascarella 24 a Bologna , vi sarà la presentazione del libro di Slobodanka Ciric "Le ceneri e il sogno"
Intervengono: Slobodanka Ciric, autrice del libro
Rosa d'Amico, storica dell'arte serba e balcanica
Andrea Martocchia, segretario del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus, e autore della prefazione al libro
Sergio Manes, direttore editoriale de La Città del Sole
A seguire: reading dell'autrice, accompagnata alla chitarra da Nicola Napolitano
I più calorosi auguri e complimenti a Boba da parte della nostra crew!
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6 comments:
e con questa fantastica donna facciamo gli auguri a tutte le donne del mondo !
benvenuto ernest nesti !
pace fatta !
qui si fanno miracoli.. l'ho sempre detto !
e a proposito di serbi cattivi chi mi sa' confermare o smentire l'ultima atroce notizia arrivata dalla serbia ?
ricordate quei vaccini contro l'influenza fantasma ?
quei miliardi buttati al vento tanto per incrementare il deficit dei paesi ?
bè.. sembra che in serbia si siano presentati dei medici in tutte le scuole elementari, senza autorizzazione e abbiano vaccinato a sorpresa tutti i bambini
chi ne sa' qualcosa di piu' ?
se fosse cosi' saremmo caduti sul fondo.. del fondo.. del fondo.. del....
io credo che N.A.T.O doveva intervenire più presto è non lasciare che le cose prendessero
quella strada ed evitando le vittime .........ma credo fortemente che quella che ha avvuto più sfortuna è stata kosovo è se non avvese intervenuto la N.A.T.O in kosovo non sarebbero rimasti più albanesi,questo è il mio conceto di vedere le cose e niente al mondo mi potra cambiare oppinione
nesti
se in kosovo non ci sono piu' albanesi o non ci sono piu' serbi cosa cambia ?
sempre delle madri piangono, sempre dei bambini muoiono
che importa l'etnia ?
la sofferenza è comune a tutti !
Ma non pensare che a me mi fa piacere vedere la gente amazarsi!!!!!
Ma quando non hai alternativa non puoi stare a vedere come gli altri
fano quello che vogliono ed a comportarsi come padroni nella tua propia casa....
poi te hai visto e sentito solo il versione degli serbi,xche come ti ho gia detto che in una guerra ogni popolo difende la sua causa e non vede le soferenze dell'altro popolo anche quando è danegiato più l'altro........................
però immagina cosa ti direbbe una madre kosovare che gli sono stati amazatti tutti i suoi figli e adesso non ha nessuna ragione di vivere,e ci sono centinaia di madre cosi.....
poi il balcano è come una dinamite che può esplodere da un momento all'altro xche tutti gli paesi vogliono quall'cosa da un altro paese per essempio l'albania ha molti territori che non sono nei nostri confini però gli altri paesi tutt'oggi cercano di profitare in ogni maniera spezandogli ancora territori
se leggi la storia del albania capirai che e stata sempre come oggetto nelle mani degli altri paesi più potenti stando cosi sempre un campo di bataglia.......
Nesti
te hai visto e sentito solo il versione degli albanesi, xche come ti ho gia detto che in una guerra ogni popolo difende la sua causa e non vede le soferenze dell'altro popolo anche quando è danegiato più l'altro........................
però immagina cosa ti direbbe una madre serba che gli sono stati amazatti tutti i suoi figli e adesso non ha nessuna ragione di vivere,e ci sono centinaia di madre cosi.....
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