Su
una nave.
In
mare.
Da
qualche parte.
"Zio
Amadou?"
"Sì..."
"Zio?"
"Sì?"
"Mi senti?"
"Sì che ti sento..."
"Ma non mi guardi..."
L'uomo si volta ed accontenta il nipote. "Stai tranquillo", gli dice
inarcando il sopracciglio sinistro, "le mie orecchie funzionano bene anche
senza l'aiuto degli occhi..." E si volta a studiare le onde.
Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva dubbioso, tuttavia si fida e
riattacca: "Zio... Tu conosci bene l'Italiano?"
"Certo, laggiù ci sono già stato due volte."
"Conosci proprio tutte le parole?"
"Sicuro, Ousmane."
Il nipote si guarda in giro, come se avesse timore di essere udito da altri, e
arriva al sodo: "Cosa vuol dire extracomunitario?"
L'uomo, alto e magro, ha trent'anni, ma la barba grigia gliene aggiunge almeno
una decina. Non appena coglie l'ultima parola del bambino, si gira di scatto e
fissa i propri occhi nei suoi.
Trascorre un breve istante che tra i due sa di eternità, possibile solo in un
viaggio in cui è in gioco la vita.
"Extracomunitario, dici?" ripete abbozzando un sorriso sincero.
"Extracomunitario è una bellissima parola. I comunitari sono quelli che
vivono tutti in una stessa comunità, come gli Italiani e l'extracomunitario è
colui che ne entra a far parte arrivando da lontano. Non appena i comunitari lo
vedono capiscono subito che ha qualcosa che loro non hanno, qualcosa che non
hanno mai visto, un extra, cioè qualcosa in più. Ecco, un extracomunitario è
qualcuno che viene da lontano a portare qualcosa in più."
"E questo qualcosa in più è una cosa bella?"
"Certamente!" esclama Amadou accalorato. "Tu ed io, una volta
giunti in Italia, diventeremo extracomunitari. Io sono così e così, ma tu sei
sicuro una cosa bella, bellissima."
L'uomo riprende a far correre lo sguardo sulla superficie dell'acqua, quando
Ousmane lo informa che l'interrogatorio non è ancora terminato: "Cosa vuol
dire immigrato?"
Lo zio stavolta sembra più preparato e risponde immediatamente: "Immigrato
è una parola ancora più bella di extracomunitario. Devi sapere che quando noi
extracomunitari arriveremo in Italia e inizieremo a vivere là, diventeremo
degli immigrati."
"Anche io?"
"Sì, anche tu. Un bambino immigrato. E siccome sei anche un
extracomunitario, cioè uno che porta alla comunità qualcosa in più di bello,
tutti gli italiani con cui faremo amicizia ci diranno grazie, cioè ci saranno
grati. Da cui, immigrati. Chiaro?"
"Chiaro, zio. Prima extracomunitari e poi immigrati."
"Bravo", approva Amadou e ritorna soddisfatto ad ammirare il mare che
abbraccia la nave.
Ciò nonostante, non ha il tempo di lasciarsi rapire nuovamente dai flutti che
il bambino richiama ancora la sua attenzione: "Zio..."
"Sì?" fa l'uomo voltandosi per l'ennesima volta.
"E cosa vuol dire clandestino?"
Questa volta Amadou compie un enorme sforzo per sorridere, tuttavia riesce
nell'impresa: "Clandestino... Sai, questa è la parola più importante. Noi
extracomunitari, prima di diventare immigrati, siamo dei clandestini. I
comunitari, come quasi tutti gli italiani che incontrerai di passaggio, molto
probabilmente ancora non lo sanno che tu hai qualcosa in più di bello e
qualcuno di loro potrà al contrario insinuare che sia qualcosa di brutto. Tu
non devi credere a queste persone, mai. Promettilo!"
Il tono dell'uomo diviene all'improvviso aggressivo, malgrado Amadou non se ne
accorga.
"Lo prometto!" si affretta a rispondere il bambino, sebbene non sia
affatto spaventato.
"Per quante persone possano negarlo", prosegue lo zio, "tu sei
qualcosa in più di bello e questo a prescindere se tu diventi un immigrato o
meno, a prescindere da quel che pensano gli altri. E lo sai perché?"
"Perché?"
"Perché tu sei un clandestino. Tu sei il destino del tuo clan, cioè della
tua famiglia. Tu sei il futuro dei tuoi cari..."
L'uomo riprende ad osservare il mare.
Ousmane finalmente smette di fissare lo zio e si volta anch'egli verso le onde.
Mi correggo, il suo sguardo le sovrasta e punta oltre, all'orizzonte.
"Sono il futuro dei miei..." pensa il bambino. Le parole si mescolano
ad orgoglio e commozione, gioia e fierezza.
E chi può essere così ingenuo da pensare di poterlo fermare?
Questo
racconto intitolato Il futuro dei miei , fa parte dell'antologia di
Alessandro Ghebreigziabiher dal titolo "Il dono della
diversità", in libreria da gennaio 2013 (Tempesta Editore).