Mi sono diplomato in violino nel ’97. Stavo con Ingrid dalla fine del ’95 quando da Trieste giunse a Udine. Ospitata prima da una signora che l’aveva accolta in casa - ma celava interessi personali -, poi da un prete che oltre a chiederle di pulirgli la canonica le chiedeva di spalmargli fantomatici olii, Ingrid decise ad un certo punto di cambiare alloggio e di dividere l’appartamento con un nostro amico nigeriano, Dominic (al secolo Achoson Perfect Ikediala). Naturalmente ho sempre tenuto d’occhio la situazione perché per quanto mi fidassi era pur sempre un uomo. Ma l’ha sempre considerata come una sorella. Ora Dominic è in America, alla fine è partito senza salutare, ma gli vorremo sempre bene.
Giovane, bella, talentuosa violinista Ingrid aveva un passato molto duro alle spalle: figlia di Ferdinand Shllaku, fisarmonicista e tornitore scutarino, si portava sulle spalle la repressione durata mezzo secolo del regime di Henver Hoxha nei confronti della sua famiglia.
Morto Hoxha, durante la reggenza di Ramiz Alìa ed al termine di quelle che in Italia sono le scuole medie inferiori le sottrassero il violino e la possibilità di proseguire gli studi musicali avviati all’età di 6 anni. Fu avvertita il primo giorno di scuola: “Ma come? Non sai che non puoi frequentare la scuola d’arte? Sai perché, no…?” Fondamentalmente era anticomunista e cattolica.
Rimase a casa qualche giorno a disperarsi, poi cedette e dovette iniziare la scuola, una sorta di liceo scientifico nella periferia di Scutari conosciuta come Kiras. Kiras era già allora un quartiere malfamato, Ingrid si trovò unica cattolica dell’enorme classe di studenti. Tutto questo le consentì di ricevere un’educazione ampia e non prettamente umanistica come al contrario sarebbe accaduto se avesse continuato con la scuola superiore musicale.
A diciotto anni, dopo la maturità, raggiunse la sorella, sposata in Italia con un suo concittadino che aveva ottenuto la possibilità di soggiorno grazie a lontane parentele italiane.
A Trieste, la diciottenne Ingrid, fresca degli studi liceali, si iscrisse ad un’altra scuola superiore italiana pur di ottenere il permesso di soggiorno, un liceo linguistico. Per l’ottenimento dei documenti fu aiutata da un padre Gesuita che viveva a Trieste, che seguì le pratiche. Padre Mariotti, scomparso di recente fu un personaggio molto importante, diede una svolta aradicale alla vita della giovane. A 18 dunque anni frequentava nuovamente un liceo con i quattordicenni, faceva le pulizie in alcuni appartamenti per contribuire all’affitto della sorella e cercare di mantenersi. Ma il suo “chiodo fisso” era il violino.
Prese il coraggio di rivolgersi ad una scuola privata individuata vicino a casa, a Trieste. Le prestarono un violino, non le fecero pagare la retta e così ricominciò dopo 5 anni (Esistono ancora persone di cuore). Nell’arco di un anno e mezzo diede tutti gli esami basilari e complementari (non venivano riconosciuti gli studi albanesi) lavorando e studiando, stupendo i docenti e chiunque incontrasse per la determinazione e l’incommensurabile talento. Oggi suona con una delle più importanti orchestre d’archi da camera italiane. Un altro religioso che poi è diventato un mio carissimo amico e che purtroppo di recente ci ha lasciato, Padre Silvio Bellotto, rappresentò un altro importante tassello: le fece prima provare alcuni strumenti dunque gliene procurò uno, da restaurare, che Ingrid suona a tutt’oggi!
Fra mille peripezie e tanta voglia di fare giunse ad Udine dove ci conoscemmo, io diplomando al Conservatorio, lei neoiscritta.
La prima frase che imparai in albanese fu “Te ha”: ti mangio. Era il giorno di S.Valentino dell’anno 1996. Il dieci febbraio c’era stato il primo scambio affettuoso, il 20 febbraio del 1999 ci sposammo in Comune, il 3 luglio del 2003 in Chiesa con il rito cattolico seppur io sia cattolico per modo di dire….
L’Albania mi entrò sotto pelle fra il ’97 ed il ’98, gli anni dei disordini che io chiamo “guerra civile” e che la ridussero a quello che è oggi. Mio suocero venne in Italia con un visto di lavoro, ma pur di stare qualche giorno vicino alle figlie -che non vedeva da anni- sforò i giorni di permesso. Nel frattempo, a maggio del ’97 i disordini raggiunsero Scutari e lui ebbe a rientrare furiosamente in Albania dove c’erano la moglie, la suocera e il figlio piccolo Armando. Con questa repentina uscita dall’Italia non ebbe il tempo di ritornare a Bari dove non gli avrebbero mai controllato i documenti alla frontiera, così si “beccò” un’espulsione che lo fece soffrire come una condanna ingiusta per il peggior reato.
Cercavamo di tenerci in contatto, non avevano il telefono e riuscivamo sì e no a prendere la linea dalla cabina una volta alla settimana con costi esorbitanti, il più delle volte le tessere da 10.000 lire si esaurivano senza nemmeno poter parlare per errori di linea. Dovevamo chiamare i vicini di casa. Riattaccare ed attendere l’arrivo dei suoi. Ritentare a chiamare. Spesso senza risultati. E sentivamo al telegiornale ogni giorno di morti e di attentati…
Fra il ’97 ed il ’98 facevo il servizio civile presso la Caritas e lavoravo con Ingrid. Gestivamo un circolo privato culturale, ma noi due “amorini” facevamo un po’ di tutto, in particolare cucinavamo e ci eravamo creati una bella cerchia di soci/amici… mangioni! Prezzi popolarissimi e piatti balcanici (oltre alle serate di cucina messicana, alle paelle ed altre specialità!). Al mattino prestavo il mio servizio civile presso gli uffici della Caritas come furiere dei 20 obiettori di coscienza, al pomeriggio servizi sociali: per anziani, matti e malati di AIDS, nel Bronx della mia città, si faceva la spesa, gli si fissava gli appuntamenti all’ospedale, al SERT o al CSM (Centro Salute Mentale) o si passava con loro semplicemente qualche ora per mitigare l’affanno della vita.
Non mi consentirono mai di lavorare all’ufficio emergenze cui si rivolgevano molti albanesi: “conflitto di interessi” mi dicevano, sapendo che avevo la fidanzata albanese e temendo che potessi abusare dell’ufficio con la scusa che “ero troppo emotivo”, che mi lasciavo coinvolgere troppo dalle povertà, dalle emozioni…
Ad ogni modo quando cominciarono a giungere i Kosovari dai confini della Slovenia, mi “riabilitarono” per il mio albanese seppur ancora maccheronico, ma diedi un grande aiuto (ai Kosovari in fuga… non seppero mai alla Caritas cosa dicevo loro… e forse è meglio così). La sera al termine del servizio ricominciavo con il Circolo e terminavo attorno alle 3 del mattino. Ingrid si addormentava letteralmente in piedi in cucina: faceva le pulizie in un paio di pub al mattino, poi passava la giornata a studiare violino in Conservatorio e quindi… era normale fosse stanca! Io sopravvivevo, ma è stato un anno durissimo in cui cominciò a rivelasi in me anche questo fottuto compagno… il mio Morbo di Crohn.
Avevo preparato i documenti per ottenere il visto di studio per mio cognato che compiva 18 anni e che in Albania rischiava di finire arruolato, giunse il periodo della mia licenza “ordinaria” e lo iscrivemmo ad un corso di parrucchiere (sborsando 3 milioni di lire, tutto quello che avevamo in parte). Io richiesi alle autorità il permesso per espatriare (cosa quasi impensabile durante la leva) per andare in Albania, recuperare il diciottenne, e tornare.
Me lo concesse un maresciallo cui in cambio promisi una bottiglia di Cognac Skenderbeg.
Partimmo da Trieste in traghetto. 25 ore di mare. 25 ore di speranze. 25 ore di ricordi e lacrime di Ingrid. 25 ore di domande per le quali solo oggi ho delle risposte… e non per tutte!
Sbarcammo al porto di Durazzo dove nugoli di zingarelli ci chiedevano soldi. Io portavo uno zaino da montagna con scatolame e alimentari in polvere, una smerigliatrice per mio suocero, una pentola a pressione, e Dio solo sa cos’altro perché pesava più di 40 kg. I poliziotti vedendo il passaporto italiano mi chiesero soldi, ma fuggii letteralmente perché portavo nel portafogli 800.000 lire che i miei genitori mi avevano regalato per la famiglia di Ingrid. Temevo mi rubassero tutto. Andò bene.
Il padre di Ingrid doveva aspettarci al porto, ma passammo oltre un’ora ad aspettare fra sibili di pallottole e mercedes impazzite guidate da bambini zingari e montanari dall’aspetto orribile. Non v’era che terra battuta e polvere. Paura. Abbandono. Tutti portavano a tracolla un Kalash e tutti sparavano raffiche in aria. Esplosioni qua e là, sordi boati. Ancora polvere e vetri rotti.
Poi vedemmo lontano, dietro una ringhiera Ferdinando che ci chiamava. Non eravamo usciti dal porto, ma non lo sapevamo: superato il cancello e vedendo il via vai delle macchine, eravamo convinti di esserne fuori! Alla fine riuscimmo a ricongiungerci a mio suocero e partimmo sulla sua Talbot Horizon sgangherata.
Avevano ucciso un uomo, durante quell’attesa a pochi metri da noi. Ma sembrava far parte di quella scenografia.
Ferdinando era pallido, bianco. Temeva il viaggio. Bucammo tre o quattro volte i pneumatici perché l’asfalto era praticamente impraticabile senza un a mercedes o un fuoristrada, per fortuna c’era un gommista quasi ogni chilometro. Ma Scutari era molto lontana. Ci mettemmo quasi 7 ore con il terrore di transitare, all’imbrunire, per Torovica, una zona malfamata dove al passaggio dei veicoli le donne gettavano dalla montagna massi al fine di colpire i veicoli, fermarli e far sì che gli uomini a valle potessero depredarli.
Un incubo che ci portò fino a Scutari. Incolumi. Ma gravemente feriti, dentro.
Entrare in quella città mi fece capire il valore della vita, potevo essere morto invece stavo nascendo di nuovo senza morire. Mi sentivo finalmente a casa e Shkodra è diventata per me la mia seconda città natale.
E da qui in poi non sono più stato solo Alessandro, il mio nome è anche Skender e faccio parte anch’io della Diaspora.
18 comments:
finalmente l'hai pubblicata Ske !
io sto piangendo a dirotto e non è la prima volta che la leggo..
me l'avevi già mandata per email e l'avevo fatta leggere ad una amica che lavora in un cpt
è incredibile come queste storie siano tutte uguali, al di la di ogni frontiera
adesso la capiranno anche i miei amici che hanno subito la stessa diaspora dalla parte avversa..
come dici tu avevano "un kalasmikof".. ke importa chi c'è dietro ? i fucili fanno tutti la stessa cosa, sia che siano imbracciati da un bianco, da un nero o da un giallo
vi voglio un bene grande come l'universo
chissa quanto ti critica tua moglie quando suoni male !!!eh!eh!
ricevo da Gianfranco :
una storia bellissima e triste, una poesia dolce e intensa.
Complimenti all'autore, anche per la storia della sua giovane vita!
E' una grande emozione leggere le tue parole. Ho passato tre settimane nei balcani l'anno scorso (ma non in albania)e ho ricevuto tantissimo, dai luoghi visitati e dalla gente che ho incontrato. Tornerò sicuramente nella zona, spero anche in albania.Un abbraccio e grazie per queste parole.
brividi...
grazie.
grazie dei commenti..
mi ricordo di te faccina e delle poesie che hai scritto al ritorno dai balkani..
non ce l'hai piu' il blog ?
por Lesha nuk është emri as italian as jugoslav...
O Lesha... kush je mor/moj ti?
Unë jam duke nisur në për Balkan (neser do te shkoj) për punë...
por kur kthehem... kisha qejf me dit kush je!!! ;)
çao qao!!!! :)
Alessandro Skender Zilli
ops, non volevo essere anonima
lesha, sono io, una balcanizzata qualunque ;)
complimenti per il blog
:)
ciao,
ho letto questa tua storia ed è veramente intensa.
Io sono un nipote di Padre Silvio, e sono appena stato a tirana al convento dei francescani per incontrare i suoi fedeli che tanto gli hanno voluto bene e che ne piangono ancora la scomparsa.
scrivimi se vuoi, mi piacerebbe approfondire.
ciao
matteo bellotto
ciao matteo,
grazie per essere passato da noi e aver lasciato un commento
skender ti scriverà appena possibile, ma insistiamo perchè tu ci mandi la tua esperienza in albania
la metteremo nella sezione ospiti
c'è l'icona nella pagina principale e ci sono anche le nostre mails
rimaniamo in contatto e ancora grazie
Ciao Matteo... anch'io ero a Tirana da Venerdì a martedì, ma non sono passato dalla chiesa di Silvio "anca parché me se saria ingropà el stomego"...
Tuo zio era una persona splendida pari a pochi. Io ogni volta che andavo a trovarlo a Tirana restavo scioccato dalla sua tempra e dalla tenacia con cui prima di tutto portava a vanti la sua opera, ma anche per come sapeva "mandar giù" i torti subiti dai "colleghi"...
Grande Silvio!
Non ho ancora avuto il coraggio di cancellare il suo numero di cellulare dal telefono, non mi sembra ancora possibile che ci abbia lasciati.
Ad ogni modo l'ultima volta che l'ho incontrato stava abbastanza bene ed era appena tornato a Monfalcone da Padova per attendere il responso degli esami. Poi non sono riuscito ad incontrarlo più ed a brevissimo se n'è andato.
Spero che quel Dio che predicava l'abbia in Gloria eterna perché questi sono i veri Santi.
Ciao.
Ale
Sì... ma Matteo... non ho la tua mail!!!
http://www.matteobellotto.com/
la sua mail è nel suo blog
grazie... Lina
non me n'ero accorto...
lexova poezin ,me ka ba me qa.edhe un jam nga shkodra .lili
Hi Lili,
we will search to translate !
you are welcome !
un bellissimo commento franco.. lo riportiamo a skender su fb
torna trovarci spesso
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