L’orchestra suonava da quasi un’ora. I passanti radunati, si
divertivano ad ascoltare i ritmi sfrenati e qualcuno si avvicinava alla scatola
posta in mezzo ai suonatori. Suo padre e gli altri ottoni suonavano disposti in
semicerchio nella via Kneza Mihailova.
Điafer aveva appena nove anni. Già da due il padre gli aveva
insegnato a suonare la tromba e quando si stancava, lo metteva alle
percussioni. Non capiva che per lui era ugualmente difficile, sia l’uno che
l’altro.
Avrebbe voluto osservare i bambini del pubblico e forse li
avrebbe invidiati per la loro infanzia spensierata. Amava sinceramente la
musica e avrebbe davvero desiderato un giorno ereditare l’arte di suo padre ma,
ancora di più, avrebbe voluto in questo momento andare a scuola, giocare a
pallone coi suoi compagni della Serbia del sud ed avrebbe voluto che la mamma
gli preparasse la sua colazione preferita, il caldo strudel di formaggio e una
tazza di yogurt.
La sua infanzia era
viaggiare, suonare a cielo aperto e dormire nelle più disparate baracche e accampamenti,
qualche volta perfino in qualche appartamento affittato dove soggiornava
l’intera orchestra.
Điafer faceva sempre esercizio alla tromba ed il padre si
sarebbe arrabbiato se non avesse risposto alle sue aspettative ed eseguito le
sue precise istruzioni. Il ragazzo non amava il viso severo del papà e nemmeno
quando egli gridava. Gli zii lo calmavano dicendogli che ci voleva tempo, che
il figliolo era ancora piccolo, e solo in quel modo Điafer riusciva ad evitare
una lavata di capo.
Il genitore spesso ripeteva che all’età di suo figlio, lui,
aveva già la capacità di interpretare parti da solista e che doveva essere del
tutto naturale il fatto che la sua progenie non fosse meno, avendo ereditato il
talento ed imparato dal padre.
La via Kneza Mihailova brulicava di passanti. Si avvicinava
Đurgevdan, la festa di san Giorgio e
c’ era lavoro per tutto il giorno. Questo significava che,
arrivati alla base del Kalemegdan non ci sarebbe stato tempo per un giro al
lunapark del giardino zoologico. E Điafer veramente, non avrebbe nemmeno potuto
chiedere di andarci altrimenti suo padre si sarebbe di nuovo arrabbiato.
La primavera era appena iniziata e sembrava già estate.
I musicisti stavano già suonando da un’ora senza
interruzione davanti allo spiazzo attiguo al ristorante “Ruski car”*. Il
pubblico era euforico e le canzoni si susseguivano una dopo l’altra.
Il bambino era assetato. Ogni tanto saltava pezzi di melodia
e subito il padre girava gli occhi e la tromba nella sua direzione dandogli
un’occhiataccia e lui presto si riprendeva.
Ad un certo punto, una signora anziana, di fianco alla quale
stava in piedi un bambino, coetaneo di Đafer,
si mise ad osservarlo. Lui dapprima non dedicò a questo particolare attenzione perchè spesso gli ascoltatori lo guardavano, commentando ad alta voce la sua presenza in orchestra e lui poteva
solo ascoltare senza poterci fare nulla. Era ancora assetato e desiderava rinfrescarsi
alla fontana che zampillava lì vicino, promettendo frescura.
Banconote giungevano da tutte le parti. Il padre e lo zio si
lanciavano sguardi soddisfatti.
Qualcuno della folla cominciò a danzare tra gli ottoni, agitando
allegramente foulard usciti a sorpresa. Era prevedibile che un po’ alla volta
potessero arrivare, spostandosi mano a mano, fino a Skadarlija*, per un agnello
al forno.
Lui invece desiderava solo una limonata fredda e un
sandwich, o almeno dei salatini.
Come se gli avessero letto nel pensiero, la donna con il
nipote, che si erano allontanati, tornarono dal‘Ruski Car’ e intrufolandosi
attraverso i passanti radunati, si fermarono alla portata di Điafer con un
insolito regalo tra le mani.
Su un piatto bianco a forma di conchiglia, faceva allegra
mostra di sè una grossa fetta di torta alla frutta, che il bambino non aveva mai
visto prima. E ancora, c’era una spruzzata di crema sopra.
Il nipotino teneva in mano un bicchiere di limonata un po’
appannato. Sorridenti, guardavano entrambe il piccolo trombettista.
Điafer, suonando, aveva visto l’insolita scena tra il pubblico,
ma non aveva pensato che fosse destinata proprio a lui. Credeva che di lì a
poco il bambino, mentre lui suonava col padre in orchestra, avrebbe addentato
quel colorato pezzo di torta e avrebbe sorseggiato il bicchiere di limonata.
Per non soffrire la tortura, mentre combatteva per domare il difficile
strumento che aveva tra le mani, cercava di non guardare nella direzione del
bambino e della donna.
Era chiaro che il piccolo trombettista non osava
interrompere l’esecuzione musicale, ma i due avevano fretta di acquistare il
biglietto per lo spettacolo al Teatro dei Bambini.
La donna fece qualche tentativo, mentre lungo l’elegante
Kneza Mihailova si disperdeva il suono della musica. Cercò di attirare lo
sguardo del bambino, ammiccando verso il nipote. Finalmente arrivò il momento
in cui si capirono ed il piatto col dolce e il bicchiere di limonata si
fermarono a poca distanza da Điafer, offrendosi invitanti.
Điafer sapeva di non poter interrompere la musica perchè il
padre lo avrebbe sgridato. Loro erano professionisti che guadagnano denaro con
le proprie prestazioni ma… pensandoci bene... il cibo forse...non era come
chiedere la carità. Suonava ancora senza interrompersi, passando gli occhi dal
bambino con la merenda al severo padre.
Si sentiva assetato e stanco come non mai. Decise così di
prepararsi mentalmente a sopportare le sgridate e le punizioni che lo
aspettavano.
Già il minuto successivo, il piccolo trombettista, con lo
strumento sotto il braccio, assaporava il dolce da cui sporgevano ciliegine
rosse e verdi kiwi. Solo ogni tanto si interrompeva, col naso macchiato di
crema, per trangugiare qualche sorso di limonata.
Godendo di quella insolita offerta, riusciva perfino a
dimenticare quello che stava facendo nella sua “uniforme” con la camicia
bianca...
Del padre e degli zii si era completamente dimenticato!
Mentre la donna e il bambino lo guardavano
e in modo complice e benevolo, la scena per i passanti era bella ma
anche triste.
A dire il vero, davvero pochi si accorsero della pausa. Lui
era un esempio di tutti i bambini che non sono stati bambini e che hanno dovuto
guadagnare come i grandi.
Suonare all’aperto era una corsa senza interruzione.
L’orchestra continuò infatti senza il
piccolo trombettista, a suonare le canzoni richieste.
Racconto di Radmila Pecija Urosevic
Traduzione di Laura Maestrello
1 comment:
I componenti di quell'orchestra son diventati dei rigorosi professionisti senza conoscere giochi e marachelle tipiche dell' età infantile... loro non son stati mai bambini, ma il piccolo trombettista, grazie alla sensibilità di quella nonna con la complicità del nipote, ne ha assaporato per un attimo il significato... forse sarà l'unico episodio che ricorderà nella sua vita di musicista all'aperto, ma grazie a quei due c'è stato!
Post a Comment