Monday, September 8, 2008

Sarajevo - Post di Rita Bettin


Definirei "saudade di Bosnia" quello struggente senso di nostalgia che assale il viaggiatore che ha avuto la fortuna di avvicinarsi a quella terra.
Dal latino questa parola, che significa principalmente solitudine, indica anche un sentimento misto tra passato e presente e non evoca soltanto nostalgia, ma speranza nei tempi a venire. Per chi in Bosnia c’è già stato, quindi, tornarci è quasi un obbligo, per coloro che invece non lo hanno ancora fatto, sarebbe un peccato vivere senza esserci mai stati.
Tuttavia questo è un male che presenta due facce: quella positiva del viaggiatore che in Bosnia si reca a vivere sensazioni forti e a sognare, e quella di chi qui vive e ha vissuto, che può essere un incubo se non riesce a sentire la nostalgia del tempo perduto o peggio a nutrire speranza nel futuro.
Approcciarsi alla Bosnia è quasi impossibile senza visitare Sarajevo, cittadina situata sul fiume Miljacka e dal 1992 capitale della Bosnia-Erzegovina.Una città che ha molto sofferto sia in tempi vicini che lontani, ricca di monumenti culturali di epoche diverse, e forgiata in quel particolare crogiuolo di culture che è stata la Jugoslavia di Tito.

Il nome della città ha origine nel turco antico, saraj, che significa “posto, tappa, palazzo”. Saraj era dove le rotte carovaniere si incrociavano, un luogo di incontro e di scambio. Fondata all’inizio del XIII secolo dagli Ungheresi col nome di Bosnavàr, nel 1462 fu ribattezzata dai Turchi Bosna Saraj, diventando residenza del governatore ottomano. Il documento che ne testimonia le origini in quell’anno, sono le memorie del suo stesso fondatore, Isa-bey Ishakovic.
La cittadella, intorno alla quale di sviluppò l'attuale Sarajevo, si erge su un promontorio roccioso ed è ancora pressochè intatta. Conserva il quartiere musulmano, Bascarsija, accentrato attorno al bazar, con numerosi minareti e moschee, fra cui la bella moschea del Bey (Begova Dzamija), uno dei più notevoli monumenti turchi in Europa.

Il termine Bascarsija deriva dalla parola turca bas, che significa "la conduttura", così la parola intera significa "il mercato principale"; infatti Bascarsija è tutt'oggi il centro storico, culturale e commerciale della città, piena di vecchi negozi artigianali, dove è bello passeggiare e racimolare splendidi souvenirs tradizionali, come tappeti, oggetti in rame, filigrane d’argento. L'anima della città è principalmente musulmana, ma qui troviamo anche le sontuose cattedrali cattolica ed ortodossa. Girare per Sarajevo non dà mai una sensazione di vuoto; le strade sono tutt'altro che anonime, ogni angolo trasuda storia e ovunque vale la pena soffermarsi.
Tuttavia, al di là di tutto quanto, si potrebbe raccontare di questo inesimabile gioiello, avventurandosi attraverso suggestive descrizioni architettoniche, geografiche, storiche e persino di singole vite umane;ma io preferirei considerare piuttosto altri aspetti culturali, da condividere con appassionati di “vita balcanica”.
In questi luoghi ci si sente appagati, coccloati e rassicurati da ritmi differenti da quelli occidentali, per nulla frenetici, che permettono di soffermarsi maggiormente a pensare, a riflettere sul senso della vita, sia questa quella di un cristiano, di un ortodosso, di un musulmano o di chissà chi altro.
Qui ci si trova coinvolti in un diverso scorrere della vita, come dimostrano le innumerevoli kafane, i bar e locali di ogni tipo, affollati a qualsiasi ora del giorno e della notte. In greco si direbbe agorazonta, cioè fare agorazein, per descrivere il modo di camminare di colui che procede lento, magari con le mani dietro la schiena e su un percorso quasi mai rettilineo.

Lo straniero, che qui per qualche motivo si trova per la prima volta, resta inevitabilmente molto stupito nel vedere un così folto numero di persone camminare su e giù per le strade, fermarsi ogni tre passi, discutere ad alta voce e ripartire per poi fermarsi di nuovo.
Agorazein significa recarsi i
n piazza per vedere cosa succede e per parlare, comperare, vendere e incontrare gli amici; significa però anche uscire di casa senza un’idea precisa, gironzolare, trattenendosi al bar, per dare un’occhiata al giornale, sorbire un buon caffè, fare due chiacchiere in attesa dell'ora di recarsi a messa o in moschea e poi a pranzo, ossia attardarsi fino a diventare parte integrante di un magma umano fatto di gesti, di sguardi e di rumori. Ecco perchè il caffè è un aspetto particolare della cultura balcaniaca e Sarajevo va visitata lasciandosi cullare dai ritmi locali, fermandosi a prendere un caffè turco e magari a fumare il narghilè in uno dei piccoli, accoglienti locali del centro; come la gente del posto ci si siede ai tavolini e si trascorrono le ore chiacchierando in compagnia della propria tazza di caffè. Ed ecco perchè la bevanda ha un significato e un nome diverso a seconda dei momenti della giornata. Razgalica è infatti il primo caffè del mattino; razgovorusa si beve in tarda mattinata in compagnia di colleghi o amici, mentre sikterusa è il caffè servito al termine di un incontro, per invitare educatamente gli ospiti ad andarsene.

E tuttavia per queste stesse ragioni un bosniaco faticherebbe sicuramente a capire come un italiano possa invece apprezzare un espresso molto ristretto e soprattutto riesca a trangugiarlo avidamente in pochi sorsi. Ad un luogo mi sono particolarmente affezionata a Sarajevo, dopo esserne stata inspiegabilmente rapita fin da subito, come per un colpo di fulmine che mi ha spinta a frequentarlo assiduamente, sentendone ora la mancanza. Si tratta della Inat Kuca, situata nei pressi della famosa Vjecnica, la Biblioteca Nazionale, fra l'altro anche vicina al luogo in cui avvenne l'attentato che provocò la prima guerra mondiale. A malincuore, visto che questa parentesi è dolorosissima, ma non posso evitare di aprirla, devo ricordare con orrore i terribili giorni dell'assedio, unico nella storia dell'umanità, in cui Sarajevo è stata lungamente centro di azioni belliche e pesanti bombardamenti da parte sia delle forze serbe, che croate e musulmane, e vide morire più di 10mila persone, fra cui 1600 bambini.
Il 25 e 26 agosto 1992 la Vjecnica venne distrutta dall'incendio appiccato dai Serbi, che durò per svariati giorni e notti, senza poter essere domato per l'azione dei cecchini, e che causò la perdita di un inestimabile patrimonio storico e culturale consistente di ben 2milioni di volumi, molti dei quali manoscritti unici. Del resto proprio la frase conclusiva presente sulla targa affissa all'ingresso della Biblioteca, così concisa, tagliente e, persino banalmente densa di significato, esorta a tenere sempre presente quanto è successo e a parlarne: “Do not forget. Remember and warn!”.

Ma torniamo alla Inat Kuca. La traduzione è “Casa del Dispetto”. Attorno al XIX secolo, infatti, questo grazioso edificio era già esistente e fu disposto dalla municipalità (sotto il dominio austriaco) che venisse abbattuto per lasciar posto all'attuale Biblioteca Nazionale (che all'epoca avrebbe appunto ospitato la sede del Municipio).
Il proprietario della casa, però, pretese (e ottenne) che la sua abitazione venisse trasferita, pietra su pietra, dall’altro lato del fiume. E così oggi la casa del capriccio sorge sulla sponda opposta del fiume Miljacka e al piano terra ospita un grazioso e raffinato ristorante.

La Inat Kuca è già suggestiva di per se, in quanto tipica costruzione turca sul fiume: alle spalle, in alto, dominano le vecchie fortezze e le mura della città, dove salire a piedi per godere la vista di tutta Sarajevo, con le sue contraddizioni architettoniche (l’antico e il moderno, i palazzoni della periferia e dove oggi per lo più vivono i cittadini di condizioni economiche precarie, e le case vecchie ed eleganti del centro); ma scoprirne una tale storia me la rende ancora maggiormente gradita. E poi pasteggiare con deliziosi cibi tradizionali, ascoltando suggestive melodie e ritmi assolutamente tipici del posto, rende più dolce interiorizzare le esperienze fatte, le cose viste e le storie apprese, facendo del viaggio in Bosnia qualcosa di sicuramente unico ed indimenticabile. Concluderei che è inevitabile innamorarsi dei Balcani. Questa è la ragione per cui, chi in Bosnia c'è stato, sente pressante la necessità di tornarci e, in attesa, di attingere anche al rientro a casa da esperienze balcaniche, attraverso la musica, i film, la letteratura e i cibi di cui qui ha fatto scorta. Questa stessa ragione, inoltre, l'amore per queste terre meravigliose, spinge il viaggiatore attento e consapevole a cercare di cogliere e capire le diversità esistenti fra sé stesso e l'altro, ma senza voler giudicare, e auspicando invece che, in qualche modo, forse apparentemente utopistico, nessuno sia mai più in grado di vivere terribili incubi e che anzi chiunque riesca a sentire la nostalgia del tempo perduto e ancor più a nutrire speranza nel futuro.
Rita Bettin

7 comments:

Anonymous said...

grande rita !!!
najveca u svemiru !

Sajkaca said...

Bellissimo Rita!
Che voglia di andare a Sarajevo!

Rita Bettin said...

...bisogna proprio andarci...
Per quanto si possano raccontare le proprie esperienze non renderanno mai l'idea fino in fondo!
Grazie a voi!!

Anonymous said...

Saudade di Rituzza!

Rita Bettin said...

Ciao Mik!
..Anche tu mi manchi..
Spero che la voglia di Bosnia sia venuta anche a te!!
..Noi dobbiamo anche rivisitare la Russia insieme!
Dai, che poi scriviamo qualcosa a 4 mani..

балканска девојка said...

daccordissimo !
benvenuto Mikele..
noi siamo una ciurma assetata di racconti..
chiunque puo' inviarci il racconto di un viaggio o di una esperienza balkanika e lo pubblicheremo..

Unknown said...

grazie per questo splendido post, anche a me sarajevo è rimasta nel cuore...

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