Di come i crucchi divennero per me
”pezzi di pane“.
Questo
articolo è una messa per iscritto di mie personali riflessioni, risalenti ad
alcuni anni fa, sul significato delle parole nel mondo (spazio) e nella
storia (tempo), e sul diverso trattamento delle parole da parte dei vari
popoli. Non fatevi sviare dal titolo e non stupitevi se attaccherò parlando
della Ex-Iugoslavia (spazio) e dell‛oggi (tempo).
Pagnotta di Kruh grande a circa 4 Kune (circa 0.50 cent), significamente chiamata recessione. Siamo in Croazia
Nell‛odierna
compagine politica e linguistica post-iugoslava esistono alcuni contrassegni
ben precisi della nazionalità di ogni abitante quei luoghi, che servono a
distinguere ciò che in linea di principio sarebbe difficilmente distinguibile,
cioè la mistione di popoli (narodi) e di popolazioni (narodnosti) di quelle
contrade. L‛italiano od in generale il forestiero che si avventura in questo
intrico di definizioni spesso sbaglia clamorosamente le diciture, creando degli
incroci come lo sbilanciatissimo terzetto nazionalreligioso ”Serbi-Croati-mussulmani“,
consacrato dai media al tempo della guerra (ove invece si preferirebbe
”Serbi-Croati-Bosgnacchi“ – non”bosniaci“, in quanto questa è una
delimitazione puramente territoriale e non nazionale/religiosa – oppure, a
scelta, ”ortodossi-cattolici-mussulmani), o, nel migliore dei casi, rimanendo
molto confuso.
Chi
sia mai stato in Ex-Iugoslavia (ed in ispecie nei paesi Bosnia, Croazia,
Montenegro e Serbia), potrà confermare che le differenze interstatali non sono
maggiori di quelle infrastatali – un Serbo bosniaco può differire
linguisticamente e culturalmente tanto, cioè poco, da un serbo di Serbia,
quanto un croato dalmata differisce da un croato slavoniano, per dirne una. Le
parole però rimangono, ora come prima, contrassegni importantissimi: chi non ha
udito, in Italia come in Iugoslavia od in Germania, «quella parola lì viene da
lì», «quelli là parlano cosà», et cetera.
Certi
segnali verbali fungono occasionalmente da vere e proprie effigi di
nazionalità, con cui uno/una comunica, linguisticamente e comportamentalmente,
chi egli/ella è: non è nazionalismo, è una naturale espressione di localismo
linguistico. In questo contesto intervengono gli influssi esterni, almeno a
livello di vocabolario, a turbare l‛unità apparente di un codice linguistico:
un italianismo sarà quindi di casa in Istria/Dalmazia/Montenegro, un germanismo
o magiarismo in Croazia, un turcismo in Bosnia ed un un grecismo in Serbia, ed
i rispettivi abitanti di queste contrade percepiranno le dette parole come proprie,
nel senso identitario del termine.
Parlando
nello specifico di Croati, se in somma esiste una parola che,
inequivocabilmente, riconduce alle contrade croate, alle loro parlate e, non
ultimo, allo stato di Croazia, quella parola è kruh, it. ”pane“.
Orbene,
questo termine non è solamente distintivo perché il restante 99% dei parlanti
lingue slave, compresi tutti gli altri iugoslavi non croati o sloveni, utilizza
un vocabolo derivato dall‛antico slavo хлѣбъ (hlěbŭ), ed appunto non kruh, ma
in quanto la sua storia si intreccia con quella della lingua italiana e ci
illumina sull‛intensità delle relazioni tra Slavi, Romanzi e Germani esistenti
nel fu Impero Asburgico, che oggi sono quasi totalmente perdute od al massimo
sterilmente rivitalizzate in seno all‛europeismo. Quel che lo iugoslavo comune,
altresì serbocroato, designa come hlěb (nelle forme ecava e iecava
rispettivamente hleb o hljeb), suona al croato di Croazia più o meno come la
nostra parola ”pagnotta“, mentre il ”pane“ come sostantivo innumerabile rimane
inequivocabilmente kruh: guai poi domandare dello hljeb in una
panetteria croata!; potreste ricevere occhiate dubitabonde od irose, anche peggiori
che chiamando canederli gli Knödel in una tavola calda del Tirolo meridionale o
”vin cotto/vino caldo“ il vin brulé in una canavesanissima ”piola“ (ah!, come
mi rammarica che sempre più giovani non conoscano più questo glorioso
sostantivo). Essere linguisti significa anche e soprattutto parlare
giustamente, al posto giusto e nel momento giusto, eventualmente sforzandosi di
fare ciò che il parlante matrilinguale normale solitamente non fa mai, ossia
riflettere prima di parlare. Questo quanto alle intolleranze
linguisticoalimentari che potreste evitare di incontrare in Croazia, ma ciò non
è che un singolo punto della doviziosa casistica relativa a questo staterello
della penisola dinarica (o Balcani, classificazione che i permalosi Croati di
Croazia non udirebbero volentieri). Meravigliati potremmo constatare ad
esempio che questo stato recante nei propri vessilli la nobile bestiola che
chiamiamo faina (scr. kuna, da cui anche il nome della valuta croata),
non solo ha fatto prezioso dono all‛Europa della cravatta (da hrvat,
”croato“) e dell‛acquavite nota come slivovizza (cito nella forma
veneto-friulana), bensì anche della più corriva denominazione dispregiativa per
i tedeschi ed i parlanti tedesco in generale, ossia ”crucchi“!
Fine prima parte