Sunday, October 3, 2010

Il viaggio di Rita. Quarta parte

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Raggiungiamo trepidanti Gazimestan percorrendo la nuova superstrada in costruzione praticamente a passo d'uomo.
Nel 1953 qui venne infatti costruito un monumento a testimonianza della grande battaglia dell’esercito serbo contro quello turco del 1389 e alla seguente graduale sottomissione dello Stato medievale serbo all'Impero ottomano. Questo luogo fa parte del patrimonio storico dell'intero popolo, sul quale e’ stata costruita la politica della liberazione dai turchi e del ripristino dello Stato serbo. Nel 1999 esso fu danneggiato nella deflagrazione di una bomba fatta esplodere dagli albanesi, ma attualmente è presidiato dalla polizia kosovara, su recente concessione da parte della Kfor.


Alla nostra richiesta sul perché il monumento abbia bisogno di protezione, l'affabile poliziotto interpellato, dopo breve riflessione non trova risposta.
C'è un'aria irrespirabile e in lontananza si vedono enormi ciminiere fumanti: si tratta della centrale termica di Obilic, che fornisce elettricità a tutto il Kosovo. Ufficialmente si brucia carbone, ma tutto intorno ci sono discariche a perdita d'occhio, disseminate fra le numerose abitazioni e gli orti.
Così si presenta oggi la piana di Kosovo Polje.


A Prizren, graziosa cittadina ottomana con strade ciottolate e diversi suggestivi ponticelli che collegano le due sponde del fiume Korisa, troviamo la cattedrale cattolica dedicata alla Madonna del perpetuo soccorso, non a caso quindi sede della caritas, oltre che sede episcopale.
Pranziamo in un ristorante tipicamente turco, il “Basi”, ricco di fontane e giardini interni, tanto che pare di essere nel Bosforo.

Nei pressi di Gjlan, altra piccola e apparentemente tranquilla enclave serba, vediamo una vasta zona delimitata da filo spinato, inaccessibile perfino allo sguardo. Capiamo che si tratta di Camp Monteith, la seconda base militare statunitense costruita in Kosovo, che ospita 2mila soldati, sui terreni dove precedentemente c'era una base dell'esercito jugoslavo.
L'altra, ad un'ora di distanza, è quella di Camp Bondsteel, la più vasta e costosa base militare statunitense all'estero, dove stazionano ben 7mila uomini.


Chiudiamo il nostro tour del Kosovo con la visita di Ferizaj.
Ci incuriosisce la vecchia stazione e siamo fortunati, visto che vediamo partire uno dei rari treni che collegano la cittadina a Pristina. E' una scena d'altri tempi. La situazione dei binari è precaria e il trenino, lento e vecchiotto dev'essere stato ceduto già obsoleto dalla Germania.
Il capostazione si dimostra soddisfatto ed orgoglioso del nostro interesse, tanto che ci offre un bicchierino di rakija.
Vorremmo visitare la chiesa ortodossa, ma è chiusa e presidiata da un giovane e disponibile poliziotto, che però non sa darci molte informazioni in merito.
A pochissimi metri un'altrettanto bella moschea. Lo scorcio che ci si presenta è proprio quello fotografato sulla copertina della nostra guida del Kosovo, pubblicata recentemente in lingua inglese ed acquistata a Pristina e di ciò si accorge anche uno dei tantissimi uomini che indossano il tipico cappello bianco di lana di pecora e che stanno parcheggiati in ozio lungo il marciapiede; esprimendosi con gesti concitati ci chiede di poter dare un'occhiatina, visto che a quanto pare non immaginava che la sua città fosse così famosa da comparire su un libro per stranieri.


E così, dolcemente, il nostro viaggio volge al termine, dopo aver visto e visitato tanti luoghi diversi e al contempo uguali, uguali soprattutto per le speranze e le aspettative di pace e serenità manifestate in qualche modo da tutte le persone incontrate, diversi soprattutto da come forse ce li aspettavamo dalle letture fatte e dalle informazioni ricevute a distanza.
Si chiude un viaggio a tratti piacevole e spensierato, ma anche procacciatore di emozioni forti, a tratti persino duro.
E si apre un nuovo capitolo da scrivere almeno un po' diversamente, su popoli più vicini fra loro, ma anche a noi-altra Europa, di quanto si possa comunemente credere.

A Rita i migliori complimenti e ringraziamenti per l'affetto riservatoci in questi anni !!!

TRASLOCO

  In foto la statua di Ivan Mestrovic, lo scultore croato che ama lavorare per la Serbia Ci siamo trasferiti in 5 altri siti Uno si chiama  ...