Wednesday, June 29, 2011

Fantasticcissimo Vittorio !

Davvero incredibile il carissimo Vittorio Filippi ! Ha pubblicato due articoli niente meno che sull'Avvenire e sul Corriere del Veneto e, a parte qualche piccola particolarità su cui si può discutere, trovo che siano molto attinenti alla realtà !
Bravo Vittorio !


Jugoslavia, un sogno mancato.
Lubiana, sera del 25 giugno 1991. Sale sul pennone la nuova bandiera della Slovenia, simbolo dell’indipendenza: la stella rossa non c’è più, sostituita dal Tricorno, il monte più alto del nuovo Stato ma anche luogo della mitologia slovena. Fa caldo, la piazza davanti al Parlamento è gremita di gente, sfila la Difesa territoriale, in pratica il nuovo esercito. Il momento è storico: parla il presidente Kucan, ex comunista, l’uomo dello strappo con Belgrado. Due Mig sorvolano minacciosi la capitale e, alle prime ore del mattino, si muoveranno i carri armati federali. È la guerra, la prima in Europa dopo quarantasei anni di pace. Ma è anche la fine della Jugoslavia socialista, che per la seconda volta nel Novecento – dopo l’esperienza della Jugoslavia monarchica dei Karagiorgevic – si sfalda. In realtà la secessione slovena e croata di vent’anni fa ha radici lunghe, già i solenni funerali di Tito del maggio 1980 fecero presentire la difficoltà del tenere insieme un mosaico complesso e fragile composto da sei repubbliche, due province autonome, quindici etnie, ventiquattro nazionalità, due alfabeti, tre religioni. Tutti gli anni Ottanta, morto il leader fondatore, icona storica della seconda Jugoslavia, si consumarono nella sistematica erosione di quella "unità e fratellanza" che ufficialmente doveva non solo tenere insieme il Paese, ma anche rimuovere gli eccessi balcanici di rancori e rivalità che la seconda guerra mondiale aveva seminato.

Favoriti dalla farraginosa costituzione del 1974, i vari Stati della federazione si muoveranno sempre più per conto loro ignorando il centro federale e, quel che è peggio, andando sempre meno d’accordo. Circolava una amara battuta: se la Jugoslavia si disintegrasse, le repubbliche non se ne accorgerebbero. La stessa autogestione, una sorta di "socialismo di mercato" che avrebbe dovuto dare le fabbriche agli operai, in realtà non solo moltiplicò le burocrazie rosse (la "nuova classe" denunciata da Gilas, il grande eretico jugoslavo) producendo disastrosi risultati economici, ma germinò interessi particolaristici e corporativi che alimentarono la frammentazione finale. Frammentazione che, ben preparata dalla sbornia dei nazionalismi etnocentrici negli anni Ottanta e divenuta vera e propria guerra nell’estate del 1991, divorò gli anni Novanta in un’orgia di violenza che ebbe il suo incredibile epicentro in Bosnia, la "piccola Jugoslavia" in cui si accentuavano le contraddizioni e le complessità del Paese. Una violenza che si accanì anche contro tutto ciò che ricordava la memoria comune come simboli, monumenti e toponomastiche. Come fanno popoli così piccoli ad essere così cattivi tra di loro, si chiedono attoniti i personaggi di Balcancan, il bel film del macedone Mitrevski. Per una specie di ellisse storica, i vent’anni di convulsioni che dissolsero la Jugoslavia federale iniziarono nel piccolo Kosovo, patria dell’epica serba, già l’anno dopo la morte di Tito e qui si conclusero nel 1999 con l’intervento della Nato e l’avvio dell’indipendenza di Pristina.

Oggi, a vent’anni dall’esplodere delle guerre infra-jugoslave, rimane il dolore di uno spreco storico gigantesco che ha bruciato – oltre a quasi centomila vite solo in Bosnia – l’idea stessa di un Paese, quell’antico sogno illirista di riunire gli Slavi del sud che oggi sopravvive nella cosiddetta "jugonostalgia". Uno spreco i cui costi economici ed antropologici continueranno a pesare, anche se gli odi si sono stemperati, molti – non tutti – criminali di guerra sono stati raggiunti e la Croazia si appresta a divenire il ventottesimo membro dell’Unione Europea. Problematiche rimangono le realtà della Bosnia e del Kosovo. Nella prima, nemmeno la dolcezza struggente delle sue sevdalinke può nascondere la mostruosità della posticcia costruzione statuale concepita a Dayton, fatta di due entità e di un distretto autonomo, con tredici costituzioni, quattordici governi con circa cento ministri e diverse magistrature. E uno e bino appare anche il Kosovo, tanto che poche settimane fa il ministro serbo dell’Interno, il leader socialista Dacic, ha semplicemente proposto di spartirlo tra Albania e Serbia «prima che sia troppo tardi». Insomma la disintegrazione potrebbe ancora continuare, instancabilmente, mentre perfino i censimenti fanno paura ai nazionalisti che non osano contarsi. La Jugoslavia è scomparsa dalle carte geografiche, ma la "balcanizzazione della ragione" – come la chiama la filosofa zagrebese Ivekovic – sembra persistere.
Vittorio Filippi
Tratto dall'Avvenire


Guardiamo (bene) l'ex Jugoslavia
Vent'anni fa il crollo del «mosaico»
Esattamente venti anni fa, con la secessione della Slovenia e della Croazia, iniziò a rompersi quel fragile mosaico chiamato Jugoslavia. Fu un processo lungo, occupò tutti gli anni Novanta - fino alla guerra del Kosovo del 1999 - e ci mise di fronte a violenze che pensavamo di non vedere più. Soprattutto sulla porta di casa. E sulla porta di casa c’era anche il Veneto, che con la Jugoslavia ha avuto, nel tempo, diversi confronti. Il primo, ricordato ormai dai più anziani, riguarda gli eventi terribili della seconda guerra mondiale, con l’occupazione italiana in cui molti soldati veneti scoprirono la durezza di una presenza militare che proprio in Veneto portò due campi di concentramento - a Chiesanuova e a Monigo - per resistenti sloveni e croati. Poi la violenza invertì la direzione e ci fu addirittura il rischio che il Veneto si trovasse a confinare con la cosiddetta settima repubblica federativa jugoslava, composta dal Friuli orientale e dalla Venezia-Giulia. Anni durissimi quelli del dopoguerra, che videro il vicino Friuli in una prima linea di violenze e di passioni ideologiche fortissime che produssero infoibati ed una pulizia etnica che prese il nome di esodo.
Dei 150 mila profughi che arrivarono in Italia ben 66 mila rimasero in Friuli, ma il Veneto, ospitandone 18 mila, fu la seconda regione italiana per accoglienza. Poi tutto si stemperò e negli anni Ottanta esplose l’amore turistico-balneare per le coste jugoslave (oggi diremmo croate, ma all’epoca la suddivisione delle repubbliche era alquanto vaga): ammettiamolo, era un amore anche un po’ interessato dato che i costi - a causa della crisi economica jugoslava e del dinaro svalutatissimo - erano talmente contenuti da farci sentire tutti benestanti. Ma per i giovani post-ideologici di quegli anni che vivevano nel Veneto del secondo boom economico la Jugoslavia ormai a sua volta post-titoista presentava davvero caratteri edenici, dal mare blu cobalto ai piatti di pesce a buon mercato, dal naturismo disinvolto ai paesaggi mozzafiato. Poi, appunto vent’anni fa, l’inizio della fine. Una fine che culminò nel 1999 con l’attacco aereo della Nato contro la Serbia di Milosevic, attacco che coinvolse intensamente anche la base veneta di Istrana. Le convulsioni degli anni Novanta portarono in Veneto migliaia di ex- jugoslavi in fuga dalla guerra e dalle crisi: sono soprattutto serbi, macedoni, bosniaci, kosovari. E con una particolarità: la loro forte concentrazione proprio in Veneto. Di tutti i serbi residenti in Italia, ben un terzo di loro vive in Veneto e su percentuali simili sono anche i croati ed i bosniaci. Ancora oggi - è l’inerzia linguistica - c’è chi dice di andare in vacanza in Jugoslavia, anche se di quel complesso mosaico conosciamo turisticamente solo la Croazia (tra due anni nuovo membro dell’Unione Europea: non chiamiamoli più extracomunitari). E’ un peccato, perché ciò che fu la Jugoslavia non è il tenebroso «hic sunt leones» dell’Europa, ma un’area che davvero merita tutta la nostra curiosità. Di viaggiatori, più che di turisti.
Vittorio Filippi
Tratto dal Corriere del Veneto



Una canzone dedicata a tutti gli jugonostalcici : Pljuni i zapjevaj moja Jugoslavijo
Ricordo anche il nostro post sugli EKV e la famosa canzone Idemo che aveva tristemente previsto tutto cio' che sarebbe successo molto molto prima che succedesse

7 comments:

балканска девојка said...

grandissimo vittorioooo !!!!!!!
e un bacio megagalattico a rita !

Anonymous said...

Grazie Lina, un bacio anche a te.
Rita

val said...

ciao tutti,
qualcuno sa qual è il comune veneto con la maggiore presenza di cittadini "jugoslavi"?

val said...

ps:

ma quel cartello greco è roba vecchia o non l'hanno aggiornato pur di non scrivere "macedonia"?

балканска девојка said...

credo che a vicenza ci sia un altissimo tasso di persone che provengono dai balkani e il cartello era riferito a quella cosa che hanno voluto distruggere e ormai avranno anche distrutto il cartello...
per fare questo post ho guardato un po' di filmati in you tube e uno diceva che cio' che è eterno non si distruggerà mai e quindi niente puo' distruggere i nostri sogni, i nostri miti, i nostri affetti
il primo anno che sono andata nei balkani ho fatto una coda enorme e abbiamo subito controlli alla frontiera slovena.. adesso non esiste piu'.. è tutto tanto assurdo parlare di repubbliche quando migliaia di vite non ci sono piu'
meglio prima.... in tutti i sensi !!!!

Lorenzo said...

La Iugoslavia fu una parentesi "fittizia", creata ad arte da Francia-GB-USA nel 1919 per togliere lo sbocco sul mare ad Austria ed Ungheria (nazioni perdenti) e per bloccare le mire espansionistiche dell'Italia verso l'altro lato dell'Adriatico.
La fine della Iugoslavia del 1991, per quanto riguarda la "samostojnost" Slovena, riportò ordine su quella che e' la tradizione culturale, che è più forte della comune matrice linguistica Slava: Mitteleuropa e non Balcani.
Con tanto orgoglio le bandiere Slovene iniziarono a sventolare nel 1991, ma con altrettanta facilità Lubiana penso' a completare le autostrade verso Trieste e Klagenfurt piuttosto che sviluppare le comunicazioni verso sud e verso est.
Con il tempo tornerà ad emergere anche la linea di contatto Lubiana-Zagabria-Belgrado, ma più per la voglia di non rimanere piccoli e soli che per vero desiderio di compagnia.
Due anni fa andai a visitare le Grotte di Postumia volendo seguire la guida slovena invece di quella italiana o inglese, che avevo sentito in altre occasioni. Fu sintomatico quello che disse quando arrivò ad illustrare una grotta famosa per eventi di resistenza partigiana iugoslava contro gli italiani ed i nazisti. Alla fine della citazione e prima di passare alla grotta successiva affermò: "...ma a noi non ce ne frega nulla di tutti loro perché ce ne siamo liberati". Tutti risero ed applaudirono.
Il tutto è un mio pensiero personale, scaturito dall'amicizia con tanti Sloveni, da profonda conoscenza trentennale del territorio (una mia cugina di secondo grado gestisce una farmacia a Nova Gorica) non un giudizio, ovviamente.
Un cordiale saluto.

балканска девојка said...

grazie lorenzo...
io non so' che dire
i balkani stanno sparendo e l'italia è in una situazione di cacca
giusto ieri è passata una manovra finanziaria che ci ha aumentato luce e gas e i poveri continuano a pagare al posto dei ricchi
non vedo nessun futuro per i nostri figli e oramai vivo al minuto secondo..
oggi mangio, ho amici.. ho affetti..
bene.. per il domani si vedrà
cmokic' dal profondo del mio cuore

TRASLOCO

  In foto la statua di Ivan Mestrovic, lo scultore croato che ama lavorare per la Serbia Ci siamo trasferiti in 5 altri siti Uno si chiama  ...