Thursday, July 14, 2011

Il racconto di Carlotta. Prima parte





Sapete bene che qui piovono solo favole, ma qualche volta piovono delle favole molto particolari ! Carlotta è una di queste. E' capitata per caso non molti giorni fa, ma ci ha fatti subito innamorare d'immenso ! Il suo racconto è fantastico.
Colgo l'occasione per raccontarvi una storia vera che non abbiamo ancora pubblicato.
La notizia c'è arrivata da un testimone e riguarda un convoglio di circa 12 camion che era partito da Sarajevo per l'entroterra bosniaco. Il convoglio era preceduto da un carro armato Onu. Ogni 20 km un commando di banditi fermava l'ultimo camion, costringeva l'autista e il passeggero a scendere e a continuare a piedi, rubava il camion e scappavano nella direzione opposta al convoglio di aiuti umanitari. Quando c'è stato solo più un camion, i militari hanno parlato un po' tra loro e poi hanno deciso di scaricare gli aiuti umanitari a terra e far salire sul camion tutti i volontari con qualche provvista di farina e zucchero che si poteva lasciare sul camion. Così.. all'enclave sono arrivati circa una ventina di persone affamate che hanno peggiorato in maniera decisiva le condizioni di vita dell'enclave già sofferente. Tutto accadeva in Bosnia nel 1995.


Il tour “Beati i Costruttori di Pace”, esclusiva confezione clericale di probe intenzioni verso un mondo di cittadini e non di vittime, ha programmato una vacanza in Bosnia: tappa di ferragosto a Sarajevo. La Jugoslavia è ancora teatro di guerra, un eccitante per chi in guerra non sta più da mezzo secolo, desiderabile come un allucinogeno per chi aspiri a migrare da vacanze borghesi, stesso cielo, stesso mare. Anch’io sono stufa di acque lisce come l’olio e di cieli sempre blu.
Alcune care persone a me vicine si coalizzano per bardarmi di sarcofago da mummia (modernamente detto sacco a pelo), gommapiuma da spiaggia elevata al grado di materasso di sopravvivenza, zaino da scolaro modello, marsupio antiscippo, giubbino color giallo-cedro-del-Libano, omaggio della Cassa di Risparmio, vagamente somigliante a una giacca a vento, micro-pila multiuso: il nemico non ti vede e tu non vedi il nemico neanche se fosse un carro armato, catarifrangente antikiller-strade di notte.
Un secondo affettuoso nucleo di miei simpatizzanti, attenti lettori delle istruzioni di viaggio prodotte dai “Beati Costruttori di Pace”, mi procaccia antibiotici a largo spettro, disinfettanti per acque da colera, bende stretch, garze, ginocchiere, gallette ricordo dei fanti italiani (prima guerra mondiale), pane nero ricordo dei soldati tedeschi (guerre mondiali 1 e 2), formaggio duro da emigrante formato XIX secolo.
Su mia personale ispirazione, ficco nello zaino lo scialle della nonna che abitava in una ghiacciaia, un maglione da gran sera in Alaska e una masnada di profumi pestiferi quanto basta a sbaragliare fragranze corporali da carenza d’acqua e sapone. Unico gioiello, una borraccia girocollo verde smeraldo.
Dopo aver messo K.O. nei corridoi del treno un congruo numero di passeggeri che hanno osato scontrarsi col mio rimorchio da viaggio, raggiungo la parrocchia di San Lorenzo, punto di raccolta nei paraggi di Bologna. Qui si svolge l’addestramento alla villeggiatura bosniaca.
Tre giorni di manovre. La prima s’intitola “Passeggiata sulle nuvole”, un day-dreaming. E come in un sogno ad occhi aperti, vengo issata a mezz’aria per andare a spasso sopra un ponte di mani intrecciate, quelle dei “beati” compagni di vacanza che stanno lì sotto a farsele pesticciare, la faccia appannata da una cristiana rassegnazione o illuminata dalla strazio nell’aver fede nel prossimo a tutti i costi. Una fiducia demenziale nel prossimo è, appunto, il target della passeggiata sulle nuvole. Si tratta di traballare lungo una passerella di mani mosce.
Dopo, mentre gli altri contano i moncherini, io mi accaparro il letto del prete.
Sveglia alle tre di notte. Ordine di uscire all’aperto, mano nella mano. Non m’illudo di danzare al chiaro di luna, ma chissà… Il ballo c’è, senza musica, quello di San Vito, a rotta di collo in catena e occhi bendati nelle tenebre. Via, sempre tenendoci per mano, finché il “beato” davanti a me, al galoppo, intanto che io mi concedo un leggero trotto, non mi sgancia in una buca.
Stop all’alba. Qualcuno mi leva dalla buca. Succinta comunicazione a una torma di sfiatati: gli organizzatori hanno voluto propinarci il brivido di un’emergenza da bombardamento. Beati i costruttori di pace che si danno a questo genere di costruzioni!
Due ore di riposo, poi via libera verso la villeggiatura, riservata però a chi ha firmato l’impegnativa di esonerare la beatifica istituzione da qualsiasi risarcimento in caso di decesso, ferite, mutilazioni, modifiche varie ed eventuali nel corpo e nello spirito.
Zitti zitti, in fila indiana, un violino davanti e uno di dietro, a Spalato siamo in duecento con l’aureola della beatitudine. Ci guida il nostro maestro di sortite antiraid, una specie di Che Guevara, come sarebbe se fosse andato avanti negli anni, ma soprattutto uno sportivo consunto da scatenati girotondi nelle notti senza luna e da grandinate di pestoni sulle mani a opera dei tanti “beati” in marcia fra le nuvole.
La hit-parade dei nostri vessilli di pace fa pendant con gli stendardi che ci salutano, o così pare, dai motoscafi e dagli yacht ancorati nella rada.
I passanti camminano nel sole, prendono distrattamente i nostri volantini che invitano a flemmatiche convivenze. Bar e negozi aperti, gelati, coca cola, mercato verde-rosa di frutta e ortaggi. Una delusione. Dopo le manovre in parrocchia ci aspettava almeno un po’ di guerra. Va bene, una certa gioia di vivere non guasta; qualche giorno fa i serbi hanno bombardato Dubrovnik...
Fine prima parte

Prosegue qui

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