Thursday, April 30, 2009

Una piccola storia a due voci



"Papà mi sono fidanzata!”. È la prima volta che mi confido con lui sull’argomento “amore e dintorni” e sono veramente imbarazzata, ma ho trovato l’uomo della mia vita e proprio devo comunicarlo. Ma torniamo alla telefonata.
Mio padre: “ Ma davvero! E chi è?”. Sarà imbarazzato anche lui?
Io: “Si chiama Ivan, è serbo!”. Ecco, l’ho detto.
E lui: “ Ma è un rom? Vengono tutti da lì! Sicura che non ha le collane d’oro e roba simile?”
E io: “ Beh… no papà!”. Come inizio non mi sembra molto promettente. Ma in qualche modo la telefonata continua e dall’altro capo del filo mi sembra di avvertire un impercettibile allentamento della tensione.
“Ah, va bene… allora raccontami tutto!”.
Ecco, a questa richiesta avrei dovuto essere preparata. Ma come si fanno a raccontare certe cose? Da dove cominciare? In realtà la questione è semplice: ho trovato l’uomo della mia vita. Già questa è una notizia, no?
L’importanza dell’evento mi aveva addirittura spinto a studiare una tattica per conquistarlo, cosa che non avevo mai neanche immaginato di poter fare prima. Al cuore non si comanda, non dicono tutti così? Posso dire, a mia discolpa, che le circostanze in cui ci siamo conosciuti certamente non aiutavano: ero la sua insegnante di italiano! Nella mia testa due pensieri fissi: “wow, quest’uomo lo sposo” e “ non è possibile, toglitelo dalla testa, non si può fare confusione tra sentimenti e lavoro”. Ma per quanto mi sforzassi non sono riuscita a fare altro che sciogliermi ogni volta che mi guardava, o diventare di un bel rosso acceso quando mi faceva una domanda. Credo che tutti gli altri miei alunni lo avessero capito e questo non andava per niente bene. Non era facile gestire in modo professionale le risatine delle mie alunne congolesi, lo sguardo inquisitorio dell’uomo libanese e le occhiate complici della coppia colombiana…

La prima volta che l’ho incontrata ero da un quarto d’ora in attesa che arrivasse l’insegnante di italiano, nella scuola che frequentavo e con la classe eravamo pronti ad andare via quando è arrivata lei, tutta rossa in viso e affannata. Immagino avesse corso molto… Era una supplente e non sapeva da dove cominciare con la lezione, non ci conosceva e non sapeva a che livello eravamo con la lingua. In qualche modo è riuscita ad iniziare e devo dire che ci ha fatto davvero divertire tutti: ci insegnava i nomi degli attrezzi da lavoro con i disegnini, ma lei stessa ne conosceva pochi e cercava di far finta di niente con dei grossi sorrisi, sperando che li conoscessimo noi. Io mi divertivo molto a farle delle domande difficili per potermi gustare le sue scenette e le sue espressioni che facevano tenerezza … insomma è stato uno spasso.
Successivamente è diventata la mia insegnante e devo dire che mi ha rapito il suo modo di affrontare le situazioni, i suoi sguardi quando non riusciva a tenere sotto controllo la situazione e cercava nei miei occhi un aiuto, sperando che le facessi da assistente quando non riusciva a spiegare una cosa. Io a volte la aiutavo e a volte mi divertivo a metterla in difficoltà con delle domande impossibili, tipo: quando si usa il verbo transitivo o intransitivo? E gli ausiliari? Lei mi guardava e mi diceva, tutta rossa: “boh”! A volte ero proprio cattivo.

La soluzione logica era una sola: non potendo (per fortuna) smettere di vederlo, era necessario almeno incontrarsi fuori dalla classe, in una situazione diversa. Ma quello che in circostanze normali sarebbe stato relativamente semplice, diventava molto complicato nel caso di Ivan. Mi trovavo infatti ad essere l’insegnante di italiano di un gruppo di stranieri arrivati in Italia non per studio o per turismo, ma per chiedere asilo politico. I locali dove tenevo le lezioni, unico luogo di incontro per noi, per lui erano allo stesso tempo scuola, mensa, ambulatorio: in poche parole, l’unico punto di riferimento. Non mi sono persa d’animo e alla fine, dopo qualche tentativo fallito, sono riuscita ad invitare lui e un amico a fare una passeggiata insieme, in amicizia.
Non capivo, allora, perché a volte sembrava interessato a me ed altre completamente assente, lontano, indifferente… Avrei dovuto saperlo da subito: quando, molto più tardi, l’ho capito, mi sono sentita così sciocca! Io pensavo solo a lui, a quanto mi piaceva, mentre lui pensava alla vita così precaria che gli si presentava davanti. Non un lavoro, a parte l’ancora di salvataggio della distribuzione dei giornali gratuiti all’alba, che ha aiutato molti (me compresa); non una casa, ma un posto che offriva ospitalità soltanto la sera, ricacciandoti per strada la mattina seguente. Ma, soprattutto, niente soldi in tasca! Non si può invitare una ragazza ad uscire senza poterle offrire nulla.

Ci vedevamo tutti i giorni a scuola ed era diventato un piacere seguire le lezioni. Mi sembrava che lei arrossisse a volte, quando la guardavo. Quanto a me, mi aveva già conquistato. La prima volta che ci siamo visti fuori dalla scuola e abbiamo avuto modo di conoscerci meglio mi sembrava di camminare sulle nuvole, mi sentivo euforico come un adolescente e felice di averla incontrata. Avevo quasi dimenticato il motivo per cui ero lì, o forse il motivo c’era… incontrarla!
Allora mi è sembrato più accettabile tutto: aver passato una settimana, appena arrivato a Roma, in cui non sapevo che fare, dove andare, senza un posto dove dormire se non i binari della stazione. Mi ricordo che passavo le giornate camminando in giro per la città senza la possibilità di comunicare con nessuno, e cantavo da solo per la disperazione. L’unica cosa che desideravo in quei momenti era poter chiamare la mia famiglia e farmi aiutare per tornare a casa. Non mi importava più nulla di quello che mi sarebbe successo lì, volevo solo rivederli… ma non avevo neanche i soldi per telefonare.

Per fortuna alla fine sono riuscita a smuoverlo (che imbarazzo)! Da subito siamo stati una cosa sola e mi ha conquistato, tra le tante sue qualità, la sua dolcezza e la sua educazione, il rispetto e l’attaccamento alla sua famiglia. Il primo giorno da fidanzati ha raccontato tutto a sua sorella, poi a sua madre e via via a tutto il resto della famiglia e mi ha fatto sentire da subito amata da tutti.
Ricordo sempre con un certo imbarazzo la prima volta che ho parlato al telefono con sua madre. Avevo studiato due settimane gli auguri di buon Natale e buon anno da farle in serbo, ripetevo le due frasi che avevo imparato in continuazione e alla fine, prima del momento fatidico, per essere più sicura avevo scritto tutto su un foglietto per evitare di sbagliare… Ovviamente mi sono confusa, mi sono fatta prendere dal panico, mi sono bloccata e non sono riuscita più a proseguire. In fondo non ero partita male: mi erano rimasti solo i saluti e “non vedo l’ora di conoscerla”, invece lei mi ha parlato quando non me lo aspettavo e…PANICO! Ivan rideva, ma a me veniva da piangere! E va bene… è serbo, è normale che mi sono trovata in difficoltà. Ma che dire della telefonata in inglese con sua sorella? In quell’occasione ho sfoggiato il meglio delle mie conoscenze linguistiche… ed è stato uno sfacelo. Ho pensato che probabilmente non avrebbero voluto più conoscermi. Il telefono di Ivan squillava e lui non c’era: ho pensato bene di rispondere io e una voce straniera mi ha parlato in modo incomprensibile. Io ho farneticato qualcosa del tipo “ah… mhmh… no Ivan no”, fin quando lei mi ha detto il suo nome. Allora il mio viso si è illuminato: ero così felice di parlare con la sorella di cui lui mi aveva parlato tanto. Avrei voluto dirle tante cose… Sì, ma cosa, esattamente? E soprattutto, come? Nel dubbio, mi sono limitata a ripetere il suo nome, con un grosso punto esclamativo pieno di gioia e nello stesso tempo meraviglia…
Realizzando poi che le telefonate dalla Serbia costano, con uno sforzo supremo ho tentato di dare dei contenuti alla nostra conversazione. Una luce si è accesa nella mia mente in panne. “Ivan is not here!” Immagino che lei l’avesse già capito e mi ha detto di lasciargli un messaggio salutandomi calorosamente e io “ciao… ciao…ciao”, con un sorriso da ebete! Povera me… per fortuna che sono stati tutti carini e comprensivi con me, Ivan innanzitutto…e beh, è l’uomo della mia vita! E lui, questa storia, come la racconterebbe?

Da quando ho incontrato “lei” ho iniziato ad apprezzare anche la mia vita precaria per le strade di Roma. Ho visto infatti che anche lei viveva secondo orari simili ai miei e che le sue giornate non erano tanto diverse: si svegliava all’alba per distribuire i giornali, andava all’università e poi perdeva tempo a zonzo per la città in attesa che iniziassero le lezioni di italiano. Anche lei si guadagnava da vivere con fatica e sacrifici. Insomma, mi poteva capire. Così ci siamo trovati insieme a bere un cappuccino al bar della stazione, o a sonnecchiare sul prato vicino alla scuola. Ero felice… e lo sono ancora perché è la mia amica e il mio amore e presto diventerà mia moglie.


Fonte Burekeaters

Wednesday, April 29, 2009

Saobracajni znaci

Tranquillizzo Zeljo e Sanja: mi sto occupando degli Ekatarina, ma datemi del tempo.
Sono ancora troppo innamorata dei bottoni.
Oggi vorrei parlare di una cosa importante. Non lo sò se lo sarà anche per voi, ma per me lo è stata.
Quando vai nell'est e conosci appena la lingua, ma ti ridono dietro quando parli, sei soddisfatto se riesci a capire le cose essenziali.
Non mi scorderò mai quella volta che mi sono persa a Cacak (una piccola cittadina) e ho telefonato al mio amico : - Ma Lina, solo tu riesci a perderti in queste 4 case ! Dove ti trovi ?
Che bella domanda ! Tutte le scritte in serbo, ma in serbo cirillico e minuscolo (che si differenzia molto da quello maiuscolo!) e nessuno che parla inglese.
Poi un lampo d'ingegno (strano direte voi!). Ho visto una bambina in bici e ho detto : Mileta kuca. Kuca sarebbe casa e Mileta è internazionale. Così, seguendo lei che andava in bici e io dietro di corsa a piedi, sono riuscita ad arrivare alla meta.


Vi do un consiglio importantissimo. Se avete bisogno di un taxi non lo chiamate mai. E' un errore madornale. Arriva un taxista che vi chiede un sacco di soldi e più vi spenna e più si sente di lavorare bene. Se avete bisogno di un taxi mettetevi semplicemente alla fermata dell'autobus. In pochi secondi arriva un taxista che vi propone lo stesso viaggio al costo dell'autobus. Al che chiunque accetta, ma non è poi così conveniente, perchè il taxista riempie il taxi di persone. Così io una volta ho viaggiato con 4 uomini cattivi e il taxista che aveva anche l'aria cattiva. Io ero dietro, in mezzo e non sapevo più come rimpicciolirmi. Capivo qualche battutina proprio per niente carina !! Ma se siete uomini, potete sperare che il taxista riempia l'auto di belle donne e se state in mezzo dietro, magari non vi sentite a disagio !!


Questo cartello non l'ho capito del tutto, ma quando c'è anche la scritta in inglese va bene. La strada Belgrado - Cacak è stata completamente ristrutturata e sono stati messi i segnali stradali nuovi. Questi segnali sono diventati una barzelletta perchè sono in serbo e in inglese, ma l'inglese è tutto sbagliato.


Cartelli come questo ti fanno capire che il tuo professore è un santo. Se hai un prof. che ti spiega cosa è un prefisso e cosa è la radice, sei in grado di interpretare qualsiasi cosa. Se poi il tuo prof dice "ràdice" e non "radìce" e ti fa morire dalle risate ogni volta, ti metti in mente l'origine delle parole.
Perciò "u" vuol dire dentro e "iz" vuol dire provenienza. Izlaziti vuol dire che arrivi da dentro, quindi stai uscendo. Ma anche qui non è tutto così semplice, perchè una volta mi sono trovata ad andare al bagno. C'era la scritta in cirillico e nessun segno. Ho iniziato a pensare: santo prof di Novi Sad, dammi un segno ! E sono entrata in un bagno. Due uomini contro il muro... era quello sbagliato.


Lasciate la chincaglieria a casa !! U kuci !


In Italia ci facciamo tante paranoie per costruire qualcosa, poi magari arriva la legge che ti fa costruire tutto dapperttutto, ma la prima cosa che ci si chiede è : l'impatto ambientale. In Serbia lasciano fare all'ambiente.


Perchè cuvaj se e non pazite, non l'ho mai capito, ma che "cane" si dica "psa" è veramente ridicolo !!
Io poi dicevo sempre "miran" ai miei amici per dire : be quiet e invece ho scoperto che miran lo si dice solo ai cani !!!


Questa va già bene.. è in cirillico maiuscolo.


Questi segnali mi hanno sempre sconvolta, perchè sono in mezzo ad un parco !


Questo segnale è sbagliato. In realtà bisognerebbe andare a destra anche per andare a Uzice e Guca, ma ti fanno fare il giro turistico della città prima di farti uscire.
Ma a proposito di Uzice.. un carissimo saluto affettuoso a Zeljko, che ci segue sempre. Sei grande Zelj !

Tuesday, April 28, 2009

Due sponde, un mare


Ciao LINA,
allora, la manifestazione si chiama "due sponde un mare" ed è un festival culturale del mare. E' iniziato venerdi 24 Aprile con l' inaugurazione della Casa dell'Adriatico, nella Galleria Civica di Termoli, uno spazio aperto a tutti coloro che hanno la passione per il mare. Durerà fino al 2 Maggio. Il programma che si può consultare sul sito www.duesponde-unmare.net è ricco di appuntamenti (dibattiti, proiezioni di film, incontri e concerti....) sia a Termoli che nelle città vicine. Io ho partecipato sabato 25 al dibattito "I love Dubrovnik" nel quale Marijo Dabelic, responsabile del comune di Dubrovnik e Adriana Danicic ci hanno portato idealmente nei vicoli e nelle piazze di questa magica città croata. A seguire, nella splendida cornice del Castello Svevo si è aperta la mostra "I sentieri di Orlando", una raccolta di dipinti di ragazzi di un liceo artistico di Dubrovnik dedicata al mito di Orlando. In serata la proiezione del film documentario "Rotta per Otranto", nel quale la Band Adriatica a bordo di un motoveliero tocca le più importanti città dall'altra parte dell'adriatico e si tuffa nella loro musica dando vita ad un connubio musicale incredibile.


Per finire, un concerto, appunto della Band Adriatica in un locale sul porto. Domenica ancora la Band Adriatica con concerti itineranti alle Isole Tremiti.
A ... dimenticavo, per l'occasione numerosi ristoranti hanno aderito all'iniziativa "Menu Adriatico" creando ognuno un menù diverso ispirato ai sapori del mare, e influenzato dalle tradizioni culinarie dei paesi affacciati sull'Adriatico.
Spero di aver reso l'idea almeno un po'
Ciao ciao Verò.




Due sponde un mare.

Sunday, April 26, 2009

Favoloso Ivano !

Lo scorso 25 Aprile è stata proprio una giornata magica. Penso che la ricorderò per sempre.
Per spiegarvi tutto bene devo prenderla un po’ alla larga, perdonatemi, è un mio difetto.
Ora succede che il 24 Aprile leggo sul muro fb di Ivano Battiston che ha una nuova versione del sito. Mi precipito a vederla e gli faccio i complimenti. Sul sito c’è una particolare icona che mi rimanda al Teatro Regio di Torino. La apro e non vedo nulla di strano. Nel frattempo arriva mia figlia col programma di “Biennale democrazia”, una serie di incontri dedicati alla cultura e alla nostra costituzione. Mia figlia : - Mamma, ma tu non conoscevi un certo Ivano Battiston ?
Si, ha il nuovo sito, come fai a saperlo ?
Ah si ? Ha un nuovo sito ?
Ma perché mi chiedi ?
Perché è al Regio !

Al Reeeeeeeeegggggggggiiiiiiioooooooooooo ??????????? Oh vakka boja !!!


Nell'ambito di Biennale Democrazia e in occasione della Festa della Liberazione, il Teatro Regio ospita alle 21 lo spettacolo Lettere dei condannati a morte della Resistenza, letture di Valentina Sperlì con presentazione di Gustavo Zagrebelsky e musiche a cura di Mario Brunello e Ivano Battiston.

Sono seguite emails, telefonate, sms, attese, finchè alle 19.15 del 25 Aprile inizio la coda davanti allo splendido Teatro Regio di Torino.
Dopo un’ora e mezza di coda, finalmente entriamo. Il colpo d’occhio è favoloso. Veramente non mi ricordavo questo teatro così bello.


Finalmente inizia lo spettacolo e dalle prime note Ivano mi ha conquistata. Io ero in prima fila, si e no a 3 metri da lui. Ad un certo punto l’ho guardato bene perché non si sapeva più dove finiva Ivano e dove iniziava la fisarmonica. Sembra che il cuore di Ivano sia dentro la fisarmonica e che lui respiri attraverso essa.
E’ stata una serata magnifica.


Mi sono scordata di dire chi è Ivano.
Abbiamo dei nuovi adepti nella ciurma e forse non hanno letto il primo post che gli abbiamo dedicato.
Ora, sicuramente voi tutti ricordate quelli che hanno fatto il ratto delle sabine. Ivano ha fatto il ratto della balkanika. E’ andato nei balkani accompagnato dal prode Alessandro Zilli, si è guardato attorno, ha scelto la ragazza più bella che c’era e l’ha letteralmente rubata.
Questo è un furto che abbiamo legalizzato con piacere in uno splendido matrimonio, perché Marina è semplicemente bellissima e bravissima.


Che sorpresa vedere Ivano omaggiato e complimentato nel suo camerino dai più grandi vip torinesi come ad esempio Evelina Cristelen e Lilly Gruber !!!
E che faccia che hanno fatto quando abbiamo registrato il video per balkan-crew. Io penso che Lilly Gruber si sia spaventata del mio inglese. So solo che mi guardavano molto male !!

Alcuni link utili:
Il sito di Ivano.
Il nostro post su Ivano in Balkania.
Il sito di Marina.
E' iniziato così.
E' continuato così
Ed è finito così !
Dedicato a noi !

Friday, April 24, 2009

Una favola chiamata Mario Bellizzi

In una delle mie tante discussioni con Artur Nura (non trovo pace con quest'uomo anche se ci stimiamo e ci rispettiamo) è arrivato un certo "Mario Bellizzi". In quel momento il nome non mi ha detto nulla, ma la sua maniera di scrivere mi ha subito colpito. Col tempo ho scoperto che è uno scrittore favoloso e ho cercato di intervistarlo in tutti i modi. Ancora non sapevo che Mario è la persona più riservata dell'universo. Così niente intervista. Gli ho chiesto allora di poter parlare di lui sul nostro blog e la risposta è stata : guai a te !
Sucessivamente un bel balletto di tira e molla, finchè un giorno mi trovo sulla mail un bellissimo regalo: il suo ultimo libro !
Io mi sono illuminata d'immenso !
L'ho contattato e gli ho detto : allora Mario posso parlare di te ?
Ma fai un po' quel che vuoi.
Così io ho prepaprato questo post che è rimasto fermo nelle bozze per almeno 10 giorni, perchè nel frattempo ho mandato un altro messaggio a Mario dicendo che avevo pronto il pezzo e lui : guai a te !
Ma oggi ho deciso di fare il fattaccio, perchè ieri Mario ha risposto ad una richiesta di aiuto che ci è stata fatta sulla 5° lezione di albanese.
Così non c'è nulla da fare caro dott. Bellizzi, il suo destino è la celebrità !

Mario Bellizzi è un poeta di lingua Arberesh, una minoranza del sud Italia, ed è nato a San Basile, in provincia di Cosenza. Ha già pubblicato diversi scritti come ad esempio "Chi siamo" e "Bukura morea".
Nel 2008 un nuovo libro : "Good bye, shin vasil"



Questa pubblicazione trae origine da un prezioso lavoro sulla
poesia popolare della comunità di San Basile, curato da Mario
Bellizzi nel 1982, in qualità di amministratore dell’Ente. Era
ormai tempo di dare a quella vecchia Antologia un’adeguata
divulgazione e una rivisitazione accurata, un approfondimento dei
contenuti fruendo anche del contributo della dott.ssa Maria Laurito,
responsabile dello Sportello Linguistico. L’iniziativa, intrapresa e
perseguita fortemente da questa Amministrazione Comunale, mira a
salvaguardare e custodire le espressioni più pregnanti e significative
della nostra identità etnica e linguistica italo-albanese promovendone
il riconoscimento culturale. Il ricordo è un luogo d’incontro e la
poesia è uno dei mezzi più nobili per raggiungerlo; esso ha in sé
una traccia di malinconia perché racchiude il trascorrere del tempo.
Giungervi cullati dal flebile dondolio delle parole seguendo il ritmo
del canto, fa vedere quella malinconia trasformarsi in nostalgia e
il sentimento in speranza. È questa la meravigliosa alchimia della
poesia, anche di quella popolare, che riconduce al passato per
sostenere il nostro incontro con il futuro. In tempi come i nostri,
incerti e confusi, volgere lo sguardo alla tradizione, intesa non come
vincolo o arretratezza, ma come forza propulsiva, è un’attività che
vivifica e rafforza. Anche nei movimenti giovanili, a volte caotici,
alla ricerca di nuovi diritti e di una libertà più visibile, si avverte il
bisogno di uno sguardo al passato, per trovare magari l’entusiasmo
di proiettarsi al futuro. Questo volgersi dolcemente ad un passato
che accomuna, e quindi anche alla tradizione, trasmette un senso di
incompletezza biografica e induce ad un percorso di esplorazione
delle nostre anime e del mondo, da cui non si può che trarre nuova
linfa per progredire.



Questa è una poesia dedicata ad una ragazza albanese costretta a prostituirsi in Italia

Anche tu provieni da un antico paese del mondo
lo stesso dei miei antenati(quelli del XV secolo)
quelli delle tre galee di Andrea Doria
come ai tempi del profugo-clandestino Enea
la prima con drappi e seta, la seconda con pane, vino e olio
la terza con uomini e donne.
Un paese dove Kadarè vuole scorresse l’Acheronte
e le aquile facevano il nido.
Sul tuo volto di luna, Oriente e Occidente,
hai come testimoni dal 400 d.C.
Improbabili navi
la prima con hascisc e kalashnikov
la seconda con prostitute e magnaccia
la terza con bambini e affamati fantasmi
già prigionieri nella preistoria e ora del tardo capitalismo
quello delle paillette e dei quiz
ti hanno portata di notte nei porti di Brindisi, Otranto, …
e poi con sgangherate alfette
nell’archeologia sommessa e violenta
accecante di miseria della Domiziana.
Senza abiti regali, senza diademi, con altri Kanun
Oracoli televisivi in mente
assieme a polacche brasiliane africane
in un bislacco carnevale-Vallja, di mode e colori,
mi chiami con accento balcanico …
Saranda? Kavaja? Durazzo? Valona?
Scutari? Fier? Berat? Tirana?
E mi offri il tuo corpo, il tuo tempo,
per una manciata di dollari.
Forse sei di Berat …
Folate di sentimenti, magma di visioni
incerte metastoriche …
cicli epici, infezioni dell’anima,
assenze di trame, caos, imponderabilità.
Un tragico seme è ciò che posso donarti sorella albanese.
A maggio nelle nostre zone d’ombra
fioriranno le icone rosse di Onufri
e si udiranno i liuti vibrare
con possenti e dolci corde di mare Jonio.

Le foto sono di Mario Bellizzi e ci sono state prestate per sua gentile concessione.

Thursday, April 23, 2009

Hajdemo u planine (Balkania)




Et voilà !!!
E' bastato un breve appello e mi sono arrivate tante, tantissime foto.
La Balkania è bellissima !
Devo fare dei ringraziamenti:
- a Sanja soprattutto !
- a Domenico, Zeljo, Vladan e i suoi amici turisti allo Zlatibor
- a Dejan per le foto di Dojkinci, sopra Pirot, con le bellissime gallinelle nere
- naturalmente al mio amico FIKY, impareggiabile montanaro !
Aspetto ancora altre foto e più me ne mandate, più gli amici che stanno scegliendo i posti in cui andare in ferie avranno possibilità di scegliere questi magnifici luoghi.
Ecco il video.

Monday, April 20, 2009

Favoloso Umberto (seconda parte)




Prosegue da qui

Dopo un paio di giorni passati a Nis, tra la fortezza turca e le rovine romane, mi avviai verso Studenica.
La strada da percorrere era tanta e scelsi la cittadina di Aleksandrovac come un buon posto per affrontare la notte.
Per arrivarci dovetti percorrere numerosi tornanti, in una discesa che spesso sfiorava la folta vegetazione che sporgeva sulla stessa strada come tante braccia protese verso di me.
Scelsi di alloggiare nell’unico hotel allora disponibile, un vecchio edificio di chiaro stampo comunista, con larghe scalinate e ampi corridoi. La camera, seppur grande, era davvero spartana. Ma a me bastava.
La sera me ne andai in giro, e, per una tranquilla cena, m’infilai in uno dei ristorantini che si affacciavano sul sinuoso corso principale del paese.
Aleksandrovac, capoluogo del distretto di Zupa, così come tutta la zona circostante, è famosa per i suoi vini e ne provai subito l’ottima qualità quando il proprietario del locale mi offrì subito un buon bicchiere di rosso. Mi raccontò nel suo inglese zoppicante che il paese, per tutto l’anno fin troppo tranquillo, si animava improvvisamente nel periodo della vendemmia, quando venivano addirittura organizzate delle feste paesane per intrattenere i numerosi ospiti che accorrevano a prestare la loro opera per la raccolta dell’uva.
E mi narrò di una vecchia leggenda, secondo la quale il principe Lazar Hreblijanovic, prima di partire per la battaglia di Kosovo Polje, ricevette l’eucaristia con il vino prodotto ad Aleksandrovac. Avevo intessuto il mio sapere di altre storie e leggende. In fondo son proprio le leggende che creano la storia.


L’indomani mattina, dopo un’abbondante colazione con fette di pane spennellate di marmellata, partii alla volta di Studenica.
Risalii i tornanti che avevo disceso il giorno precedente e mi immessi sulla strada che intersecava la valle dell’Ibar, in direzione di Usce, piccolo villaggio nei cui pressi sorgeva il complesso monumentale di Studenica.
Mi trovavo adesso nella Raska, uno degli stati medievali da cui ebbe origine il primo nucleo storico della vecchia Serbia. La strada, dopo alcuni chilometri riprese a salire, e mi trovai immerso in fitti banchi di nebbia che non facevano altro che rendere ancora più magica l’atmosfera. Le spirali di foschia sbattevano leggere contro i vetri dell’auto e gonfiavano l’aria d’umidità.
Tutt’attorno a me nient’altro che il silenzio, amplificato dalle particelle in sospensione. Provai ad immaginare cavalli e cavalieri che sbucassero dal nulla. Il tempo, un’altra volta ancora, aveva perso il suo significato.
Avanzavo lentamente, sforzandomi di seguire i bordi della strada. Non incrociavo spesso altre automobili ma solo diversi carretti tirati dai cavalli che procedevano a passo d’animale.
Poi il sogno svanì, nello stesso istante in cui sbucai fuori dall’ovatta che la nebbia aveva creato. Dopo l’apnea ricominciavo ad annusare l’aria.
Il cammino proseguì per qualche altro chilometro finchè la strada non trovò respiro in un ampio spiazzale. Ma soprattutto sopra di me era tornato a splendere il sole. La giornata adesso si mostrava in tutta la sua serenità.
Scesi dall’auto. Ne sentivo proprio il bisogno. Con passo tranquillo mi avviai verso le mura del monastero che, seminascoste dalla vegetazione, avevano difficoltà ad offrire ai miei occhi il loro percorso circolare. Anzi, vista la leggera elevazione rispetto al piano, offrivano della loro presenza solo impercettibili segnali.
Iniziai a salire i lunghi gradini di pietra levigata, infestati dall’erba, e man mano che mi avvicinavo vedevo apparire le mura nella loro forma definitiva. Arrivai all’ingresso. Le mura in effetti erano relativamente basse, ma il loro profilo si addolciva man mano che esse giravano attorno alla loro stessa circonferenza.


La prima cosa che mi colpì, una volta entrato, fu la luminosità dell’intero complesso.
Tre chiese, una centrale alta e possente e due più piccole che le stavano attorno come satelliti.
Le cupole rosse spiccavano dai tetti chiari, grigi come fumo di nuvole, mentre le pareti esterne mostravano il colore della stessa pietra con la quale erano state edificate molti secoli prima.
Presi a gironzolare attorno agli edifici, seguendo il selciato del sentiero che, sparendo e riapparendo tra i ciuffi d’erba, sembrava dividere in settori i vari angoli della spianata verde.
La chiesa centrale, la chiesa della Vergine, con i suoi archi d’ingresso intarsiati di bassorilievi in marmo, era quella dove riposavano le spoglie mortali di Sv.Simeon, capostipite della dinastia dei Nemanja e padre di Sv.Sava, fondatore della chiesa autocefala serba. Il nome di battesimo di Sv.Simeon era appunto Stefan Nemanja, ed era stato colui che aveva fatto edificare, come sua offerta a Dio, il monastero di Studenica. E che aveva scelto come sua ultima dimora. Una scelta caduta proprio su un luogo che a me in quei momenti appariva come un vero paradiso sulla terra.
La chiesa dominava quel sito, la cui superficie mi sembrò ben più estesa di quelli che avevo precedentemente visitato. Mi sorprese la bellezza degli affreschi e il loro stato di conservazione che mi permise di notare anche alcune iscrizioni in serbo antico che andavano ad aggiungersi a quelle tradizionali in greco.


Le due chiese più piccole mi mostrarono altre sorprese.
La più grande delle due, la chiesa Reale, una vera e propria galleria di ritratti, mi consentì di ammirare i volti di Sv.Simeon e di suo figlio Sv.Sava, e quelli del re Milutin e della di lui consorte Simonida. Avevo letto di quei personaggi tra i miei libri di storia serba, ma finalmente potevo loro dare un volto vero. Un volto ammirato con i miei stessi occhi.
La chiesetta di Sv.Nikola mi mostrò invece solo affreschi disgregati dal tempo e difficilmente distinguibili se non con una buona illuminazione.
Prima di abbandonare quel luogo mistico, lasciai spaziare il mio sguardo lungo le colline ed i boschi che circondavano il complesso di Studenica. L’effetto tridimensionale che ne ricavai mi diede la sensazione che il monastero e la sua cinta muraria restassero sbalzati dal resto, mentre la luce proiettava le verdi colline come uno sfondo in profondità.
Lasciai Studenica a malincuore ma con l’anima piena di gioiosa serenità. Avevo deciso, tra un pensiero e l’altro, di arrivare a Kragujevac prima di sera, senza però rinunciare ad una degna visita al monastero di Zica, sede originaria del patriarcato serbo-ortodosso.
E così fui di nuovo sulla strada.
Iniziai a costeggiare il corso del fiume Ibar, lungo un cammino stretto tra le sue gole ed enormi batoliti di roccia. Facendo occhio a non perdere la destra ammiravo le sue acque fangose scivolare tra detriti e rami spezzati, ed insinuarsi come serpenti tra la bassa vegetazione.


Poi, proprio su un’ansa del fiume, ecco innalzarsi la collina con le rovine della fortezza di Maglic, edificata circa ottocento anni prima e utilizzata per dominare la vallata.
Mi fermai ad una piazzola di sosta. Da quel punto non era possibile raggiungerla che con lo sguardo. Ma il fascino, l’ancestrale e guerriero fascino che emanava ancora, arrivava fino a me da quelle mura diroccate.


Ripresi la strada, e stavolta arrivai senza altre soste fino a Zica.
Com’era diverso il monastero rosso di Zica da tutti quelli che avevo sin lì visitato. Colorato in rosso in memoria dei martiri della fede, splendeva come un rubino incastonato in un diadema di smeraldi.
C’era molta gente che entrava e usciva, ed il posto non era isolato come gli altri. Sapeva più di chiesa che di fortezza. Ma il suo splendore era dettato proprio dal colore delle mura dell’edificio centrale, un rosso mattone pastellato così denso e fresco che a guardarlo ti dava l’impressione che se gli avessi passato un dito sopra te lo avrebbe macchiato. La cupola squadrata, orlata di bianco così come i bordi e le grate delle finestre, era contrapposta al campanile. Agli angoli della chiesa sorgevano pini maestosi e piccoli abeti, che sembravano tracciarne e stabilirne la posizione ed il perimetro, come i punti che un architetto traccia sul foglio millimetrato prima d’iniziare un disegno. Il contrasto tra i due colori dominanti, il rosso dell’edificio ed il verde degli alberi, creava un colpo d’occhio pieno d’effetto.


La storia serba anche qui aveva scritto pagine importanti. Re Stefan Nemanja in questa chiesa era stato incoronato, mentre un’altra leggenda raccontava che per ogni nuovo sovrano della dinastia era stata aperta una nuova porta.
Mi avviai soddisfatto verso la mia piccola grande auto, compagna di strada e di polvere, e ripresi il cammino. In un paio d’ore contavo di arrivare a Kragujevac, dove il giorno seguente mi sarei recato a visitare l’immenso parco Sumarice col doloroso memoriale d’ottobre.
Ma questa è un’altra storia.

Continua qui

Umberto Li Gioi


Sunday, April 19, 2009

Lingua slovena. Lezione 4

Innanzitutto voglio augurare una buona Pasqua a tutti i "pravoslavci" e poi mi butterei subito su:

LE DECLINAZIONI (Sklanjatev)
Le declinazioni regolari slovene sono 4:
- Maschile
- Prima declinazione femminile
- Seconda declinazione femminile
- Neutro

La declinazione comprende sei casi:
- Nominativo (Imenovalnik) risponde alla domanda chi?/che cosa? (Kdo?/Kaj?)
- Genitivo (Rodilnik) risponde alla domanda di chi?/di che cosa? (Koga?/Česa?)
- Dativo (Dajalnik) risponde alla domanda a chi?/a che cosa? (Komu?/Čemu?)
- Accusativo (Tožilnik) risponde alla domanda chi?/che cosa? (Koga?/Kaj?)
- Locativo (Mestnik) risponde alla domanda presso chi?/presso che cosa (Pri kom?/Pri čem?)
- Strumentale (Orodnik) risponde alla domanda con chi?/con che cosa? (s kom?/s čim?). Risponde anche alla domanda per mezzo di chi?/mediante che cosa?.

Vediamo ora la prima delle tre declinazioni:
Maschile
Stol (sedia)
Singolare
N. Stol
G. Stol-a
D. Stol-u
A. Stol
L. Pri stol-u
S. S stol-om

Duale
N. Stol-a
G. Stol-ov
D. Stol-oma
A. Stol-a
L. Pri stol-ih
S. S stol-oma

Plurale
N. Stol-i
G. Stol-ov
D. Stol-om
A. Stol-e
L. Pri stol-ih
S. S stol-i

Piccola regola MOLTO importante:
Nello strumentale si usano le preposizioni S e Z. Entrambe hanno lo stesso significato, ma si usano in maniera differente: si usa la S davanti a sostantivi, aggettivi, pronomi e numerali che iniziano per c, č, f, h, k, p, s, š, t. La Z si usa in tutti gli altri casi.

Questo è tutto per oggi
Na svidenje!

Friday, April 17, 2009

Bosnian graffiti. Ms. Larsen


Dopo il successo ottenuto dalla prima personale a Roma, presso la Galleria Giulia, col patrocinio morale dall'Ambasciata di Bosnia ed Herzegovina, la mostra fotografica BOSNIAN GRAFFITI di MS LARSEN, una delle protagoniste della straight photography italiana, viene ora presentata da Zuni Art Club di Ferrara in un nuovo allestimento. In questa mostra l'artista pone l'obbiettivo sulla Bosnia Herzegovina e precisamente sulla "street art" del dopoguerra, focalizzando le ferite inflitte agli edifici, ai simboli culturali del genocidio e ai graffiti lasciati dai sopravvissuti. Le fotografie in mostra colgono lo spettatore di sorpresa riportandolo alla riflessione su una guerra dimenticata. L'artista fissa con la sua macchina fotografica scritte sui muri, graffiti metropolitani, edifici distrutti insieme alle immagini della quotidianità. La percezione dell'artista diventa parte integrante dell'opera, lo stimolo visivo si trasforma in impulso intellettuale, Ms Larsen usa in modo secco e crudo la fotografia, senza uso di foto ritocco, soffermandosi sui dettagli, sulla costruzione emotiva e sull'identità di un popolo che non vuole dimenticare e, allo stesso tempo, è proteso verso il futuro. Il suo modo di utilizzare la macchina fotografica ne fa un' artista curiosa ed incline alla sperimentazione. MS LARSEN utilizza spesso apparecchi lomografici, vintage cameras e rullini scaduti. Nel settembre 2008 ha pubblicato un libro dal titolo "Remember and Warn" frammenti di vita urbana e quotidiana.



MS LARSEN è nata a Modena nel 1972, si trasferisce giovanissima in Danimarca, vive e lavora tra l'Italia e l'Europa dell'Est. Le sue fotografie sono state pubblicate su magazines internazionali ed utilizzate per la campagna pubblicitaria “Make History” di Lee Jeans. La Larsen è vocalist della nota gothic pop band “Lunacy Box”.

Qui maggiori informazioni.
La mostra sarà inagurata oggi, 17 Aprile 2009, presso il Circolo Arci di Via Ragno 15 a Ferrara e rimmarà aperta fino al 10 Maggio.

Thursday, April 16, 2009

христос воскресе - la Pasqua Serbo-ortodossa



Gli ortodossi festeggiano la Pasqua sempre dopo la prima luna piena di primavera, cosi la data non corrisponde quasi mai alla Pasqua cattolica.
(Quest'anno la domenica di Pasqua è il 19.04.2009)


Le festività pasquali sono momenti di festeggiamenti in famiglia, con ottime pietanze e giochi per bambini un po' come da noi. Ma nei balkani un po' di più, come si festeggiava una volta, con un po' meno mega-uova di cioccolato con carte metallizzate e sorpresa dentro e conigli di cioccolato al gianduja, ma un po' di più uova di gallina domestica e coniglietto vero che per una giornata lo si lascia un po' correre per il giardino per la gioia dei bambini.


L'aria di Pasqua la si sente già una settimana prima della Domenica di Pasqua, cioè durante la "settimana delle palme" la settimana della sofferenza di Cristo e quindi di magro, (ho spiegato il cibo di magro, posna jela, della chiesa ortodossa qui nel post sul Natale) che culmina domani al "veliki petak" (il Venerdi Santo).

la chiesa di Grdelica
(dintorni di Leskovac, Serbia del sud)

Il Venerdi Santo è il giorno in cui si colorano e decorano le uova. Tradizionalmente le uova si colorano con le bucce di diversi tipi di cipolla che danno varie tonalità di rosso, e per decorazione si fermano foglie oppure petali con una garza (o calza di nylon) che si toglie dopo aver tinto le uova nelle cipolle. Cosi rimangono dei bellissimi disegni. Ma non c'è limite alle decorazioni!Certe uova sono dei veri capolavori! Guardate che esempi qui, qui e qui.
Inserisci link
Alla mattina della domenica di Pasqua ci si saluta con " Hristos voskrese" (Cristo è risorto) e si va a messa.
Il pranzo di Pasqua è ricco e festoso:
agnello, maialino arrosto, sarme, affettati, salami, salsiccie, pane, tursija, ajvar, focacce, kajmak.....e come in Italia c'è la colomba in Serbia c'è lo "uskrsni kolac" )

Eccovi qualche ricetta pasquale proposta dalla nostra amica Dragana:
dei dolcetti pasquali oppure questi coniglietti e la treccia di Pasqua.

Queste invece sono le mie foto della Paqua dell'anno scorso. Ho festeggiato a Kovaceva Bara (un villaggetto vicino a Grdelica) con la famiglia di mio marito.

Ma la cosa più divertente (non solo per i bambini) sono le battaglie di uova (ne ha parlato anche Lina qui). L'uovo che vince lo si tiene fino alla Pasqua dell'anno dopo..si dice che protegga la casa, i suoi inquilini ed il bestiame.

Con questo post auguro a tutti i miei cari amici ortodossi una buona Pasqua!

Желим свим пријатељима српске православне вере срећне ускршње празнике

христос воскресе!

Tuesday, April 14, 2009

Favoloso Umberto !



L'ho detto io che ci piovono favole infinite ?
Questa è una particolare. E' uno scrittore e ho dovuto fare delle puntate perchè da quando gli ho detto di scrivere per noi, ci si è buttato a capofitto.
Grazie infinite Umberto, è un piacere leggere queste righe !



Un bel giorno, in tarda mattinata, arrivai a Belgrado e all’aereoporto noleggiai un auto.
Era il luglio del 2005, cuore di una bella estate che arrivava dopo il gran caldo di quelle degli anni precedenti.
Avevo deciso di girare alla ricerca dei monasteri ortodossi, fondamenta della chiesa autocefala serba. Alla ricerca di leggende e segreti che ormai da secoli custodivano.
Senza passare per Belgrado imboccai la E75 in direzione sud-est, verso Nis.
Avevo già in mente le destinazioni che avevo evidenziato sulla carta stradale con dei cerchi rossi, per non perderle mai.
La cittadina di Despotovac, lungo il corso di un piccolo fiume chiamato Resava, sarebbe stata la mia prima tappa. Da lì, a cavallo tra quello stesso giorno e il successivo, sarei riuscito tranquillamente a visitare Manasija e Ravanica.


Dopo un’ora e mezza di viaggio, comprensiva di un veloce pranzo consumato in un piccolo grill lungo la strada, giunsi al bivio e da lì, in alcune decine di minuti, fui ad un tiro di schioppo da Despotovac. Trovai alloggio per la notte all’hotel Kruna, un civettuolo motel “ontheroad” che mi sento di consigliare per l’accogliente ospitalità.


Il monastero di Manasija, anticamente chiamato Resavica proprio per la vicinanza del fiume, sorge a pochissimi chilometri dal paese, là dove la pianura comincia ad innalzarsi fino a formare alture collinose non elevate ma certamente evidenti.
Man mano che mi avvicinavo con l’auto, la fortezza sorgeva tra la folta vegetazione delle alture e cominciava a stagliarsi sull’orizzonte alla mia destra. Gli alberi la nascondevano alla mia vista, facendola comparire e scomparire come in un puzzle cui venivano aggiunte tessere e poi tolte. Quindi una serie di curve in salita, e poi il sentiero, sotto le imponenti mura e le possenti torri. Undici torri di pietra.


Là, incuneato tra verdi colline ondeggianti, nascosto oltre le sue stesse mura, eccolo apparire aldilà del massiccio arco d’ingresso fregiato delle immagini di arcangeli che lo presentano al viandante. Tra aiuole di rose rosse curate da mani sapienti, ecco il monastero.
I segni del tempo, chiaramente manifesti sulla cinta muraria, sembravano invece non aver nemmeno sfiorato quel gioiello d’arte e di storia, che se ne stava accovacciato nel suo nido di pietra e di fiori.
Fatto edificare da Stefan Lazarevic, figlio del principe Lazar Hrèbljanovic, il monastero mi mostrò all’interno i suoi santi guerrieri, difensori della fede, affrescati sulle pareti. L’antica bellezza era pari al timore che incutevano. Li ammirai per la prima volta nella vita. Dall’alto sembravano ammonire a non violare le sacre fondamenta e la sacralità di un luogo nato per preservare i misteri.


E poi l’affresco dello stesso zar Lazarevic che offre il suo monastero a Dio, tradizionale immagine che avrei trovato in tutti quelli che avrei visitato di lì a pochi giorni.
Portava in braccio la chiesa come fosse un bambino. Come si fa con la propria creatura.
Fuori il cielo era azzurro, appena velato di nuvole. E il silenzio incombeva come una coltre di nebbia. Anche i passi di un monaco vestito di nero che attraversava il giardino sembravano sparire nell’assoluta assenza di rumori.
Mi guardai attorno, e il mio sguardo andò alto, cercando di scavalcare le mura. Mi sentivo protetto. Mi sentivo al sicuro nella fortezza di Manasija. Il senso di inespugnabilità non era solo riferito alla fede ma anche all’isolamento che i bastioni riuscivano a offrirmi. Era così da sempre, da oltre 600 anni. Tutt’attorno solo il verde scuro di inestricabili boschi.
Il giardiniere che mi passò accanto mentre, seduto all’aria aperta, cercavo di assaporare il mio stesso respiro, mi salutò con le tre dita alzate, simbolo dell’unità serba. Dio, re e patria. E allo stesso modo istintivamente risposi.

Nel tardo pomeriggio, dopo un breve giro per le strade di Despotovac, tranquilla cittadina con bambini che giocavano per la strada e donne che facevano la spesa, rientrai in hotel.
La proprietaria, una giovane donna allegra e decisa, mi preparò la cena. Un bisteccone, o meglio un hamburger. Pljeskavica, con patate, carote e cipolle tutte tritate a pezzettini.
E mi offrì una sljivovica, dal colore giallo come l’oro. Mi raccontò che era preparata da suo padre, meticoloso realizzatore dell’antica ricetta.
L’indomani, prima che io lasciassi l’hotel, mi accompagnò nel retro e me lo presentò, suo padre. Gli esternò i miei complimenti per l’ottima grappa di prugne. Lui ringraziò, con dignità e un sorriso negli occhi.
Mi avviai alla ricerca del monastero di Ravanica, quello che da sempre aveva in me esercitato il fascino maggiore. Tra le sue mura era custodito il feretro con le spoglie mortali dello Knèz Lazar, l’eroe fatto santo da cui avevano preso origine l’epopea e il mito di Kosovo Polje. Una battaglia che è da considerarsi lo spartiacque tra la Serbia antica e quella moderna. Il martirio di un uomo era tornato ad essere, così come lo era stato quello del Cristo, simbolo di salvezza. Il simbolo di una scelta. Quella tra la gloria terrena e quella celeste. E Lazar Hrebljanovic aveva scelto quest’ultima. Avevo letto di storie e leggende nello stupendo resoconto che Rebecca West aveva scritto del suo peregrinare attraverso la Jugoslavia degli anni trenta. E il mito di Sv.Lazar mi aveva colpito.


La strada verso Ravanica fu tortuosa, e la mia meta sembrava non arrivare mai. Sulla carta stradale il percorso mi era apparso più breve, ma forse le numerose curve e l’apparire di piccoli paesi nemmeno indicati lo resero infinito. Quando mi fermavo per chiedere a qualcuno se la mia direzione fosse giusta, annuivano col capo e m’incoraggiavano ad andare avanti «Manastir Ravanice? Pravo, samo pravo»
Una tipicità dei monasteri ortodossi, nati ai tempi del dominio ottomano per difendere la fede cristiana, era proprio quella di non apparire alla vista dell’uomo. Per trovarli bisognava cercarli attentamente, e solo allora, forse, sarebbe stato più semplice trovarli.
Avevo imparato questa lezione qualche anno prima in Bulgaria. Un monaco del monastero di Rila mi aveva raccontato che questi baluardi della fede nascevano proprio tra le montagne per crescere nascosti agli occhi del mondo. E a quelli degli invasori.

Non lo scorgevo ancora, eppure ero certo che ormai dovesse apparire ai miei occhi da un momento all’altro. Era come se girassi attorno alla mia coda senza riuscire ad afferrarla.
Accostai ai margini della strada per l’ennesima volta, sperando fosse l’ultima, e alla mia richiesta d’informazioni l’anziana signora scoppiò in una genuina risata. Con l’indice della mano destra mi fece un chiaro segnale. Il monastero stava là, alla mia sinistra. Bastava voltarsi e guardare.
Stava là, come sbucato dal nulla. La strada declinava leggermente e si immetteva in una spianata d’erba brillante per la luce del sole.
Entrai, e dopo aver parcheggiato varcai l’arco d’ingresso.
Ciò che mi colpì all’istante fu l’imponenza di quella costruzione, i cui colori variavano armonicamente dal bianco al rosa denso, e la facciata di pietra variopinta ai piedi della quale si apriva la porta principale. Essa sembrava un blocco a sè stante.
Trattenni il fiato. Stavo per entrare e trovarmi al cospetto del principe Lazar. Stavo per spalancare i miei occhi sulla battaglia di Kosovo Polje.
Alla destra dell’altare, ricoperto dalla bandiera serba, stava la tomba dell’uomo che aveva cambiato per sempre la storia del suo paese. La sua sconfitta sul campo di battaglia avrebbe impresso per sempre sulla leggenda il marchio del martirio.


Restai assorto per diversi minuti, come cercando di mettermi in contatto con quell’uomo sulle cui vicende avevo letto tanto. Non c’era nessuno attorno a me, soltanto alcune suore che girovagavano entrando e uscendo dal tempio. Sono questi i momenti in cui si assapora l’eternità. Quelli che nascono quando ci si trova di fronte ad un mito, leggendario o reale che sia. Poi uscii anch’io e iniziai a vagare attorno al monastero. Anche qui, come a Manasja, il tempo sembrava non far parte del tutto. Bastava immedesimarsi soltanto un po’ per sentir scorrere addosso i segni di un mondo lontano.


Una donna, che parlava benissimo l’inglese e che mi disse di essere una studiosa, uscì sorridente dagli alloggi dei monaci e insistette per scattarmi una foto. Insistette tanto che alla fine glielo consentii. E la resi felice. Poi mi avviai all’auto e ripartii alla volta di Nis. Da lì, dopo un paio di giorni avrei ripreso la strada verso Studenica....

Continua qui

Umberto Li Gioi.

Sunday, April 12, 2009

Bijelo dugme



Sono innamorata di un bottone !
Ebbene si! I Bijelo dugme, ovvero “bottone bianco” sono un favoloso gruppo rock balkanico e simboleggiano la pace e l’unità della Jugoslavia, prima e dopo il suo scioglimento.
Hanno realizzato 13 album e più di 6 milioni di dischi. Il gruppo venne fondato da Goran Bregovic negli anni ’70 e furono leaders incontrastati in tutti i balcani fino al 1989, anno dello scioglimento del gruppo. Ma loro sono riusciti a fare anche un miracolo dopo..
Per i meno addetti ai lavori ricordo che Goran Bregovic è nato a Sarajevo da padre croato e madre serba e forse è per questo che simboleggia così bene i balkani, terra in cui i matrimoni erano misti perché andavano tutti d’accordo.
Nulla è stato impossibile a questo gruppo, neanche cantare in albanese a Pristina !
Questo gruppo è stato favoloso anche perché ha dimostrato che esiste uno spazio comune tra tutti gli slavi del sud, indipendentemente dalle varie etnie ( che brutta parola!), dalle varie religioni e dalla varie differenze linguistiche.
A 16 anni dal loro scioglimento, i Bijelo dugme, si sono nuovamente ritrovati per un tour che ha toccato 3 città : Sarajevo (70.000 spettatori), Zagrabria (65.000 spett.) e Belgrado con ben 200.000 spettatori! Di tutto è stato fatto per rovinare questi concerti, ma nulla è riuscito a chi voleva distruggere questo simbolo di pace. Negli stadi e all’ippodromo di Belgrado si sono visti giovani provenienti da ogni parte della ex-Yugo, cantare assieme come un solo popolo, quello che in realtà sono.

Ecco i componenti nel corso degli anni :
•Željko Bebek - cantante, basso (1974 - 1984)
•Goran Bregović - chitarra (1974 - 1989)
•Alen Islamović - cantante (1985 - 1989)
•Goran "Ipe" Ivandić - batterista (1974 - 1976, 1977 - 1978, 1982 - 1989)
•Điđi Jankelić - batterista (1978 - 1982)
•Sanin Karić - basso (1977)
•Vlado Pravdić - tastiere (1974 - 1976, 1978 - 1987)
•Ljubiša Racić - basso (1975 - 1977)
•Zoran Redžić - basso (1974 - 1975, 1977 - 1989)
•Laza Ristovski - tastiere (1976 - 1978, 1985 - 1989)
•Mladen "Tifa" Vojičić - cantante (1984 - 1985)
•Milić Vukašinović - batterista (1976)



Qui e qui due brani presi da osservatorio balcani




I miei brani preferiti:

Lipe cvatu e live
Djurdjevdan e live
Ako ima Boga e live
Hajdemo u planine (old) e live (new)
Pljuni i zapjevaj moja jugoslavijo


Monday, April 6, 2009

Nika Slotera za predsednika


Vi ricordate la serie televisiva degli anni novanta (1991 -1993) Tropical Heat?

Il protagonista principale (un investigatore privato ex-poliziotto) si chiama Nick Slaughter (impersonato dall'attore canadese Rob Stewart) ed ebbe una popolarità incredibile in Serbia.

Nick Slaughter (che in Serbia, alla maniera del nostro amico Vuk Karadzic, s
i chiama NIK SLOTER) andava in onda con i suoi episodi su ben 4 canali serbi: TV Politika, NS+, RTS, and RTV Pink ed era seguitissima! Proprio negli anni di isolamento della Serbia questo serial divertente e filmato in zone tropiche piaceva tantissimo!

Nik Sloter era divent
ato una specie di eroe nazionale, era il protagonista di un fumetto "Strip protest", ideato da Aleksa Gajić, pubblicto nel 1996-97 durante le proteste studentesche contro il regime di Slobodan Milošević.


Venne addirittura lansciato lo slogan slogan "Slotera Nika za predsednika" ("Nick Slaughter Presidente") oppure "Svakoj majci treba da je dika, koja ima sina k'o Slotera Nika." ("Ogni madre dovrebbe esser fiera di avere un figlio come Nick Slaughter")

Gli "Atheist Rap" gruppo punk serbo gli dedicò anche una canzone: "Sloteru Niče, Srbija ti kliče" nel 1998 infuocando ancora di più la mania Nik Sloter! E sono proprio gli Atheist Rap il motivo per cui Nick Slaughter sembrerebbe che visiterà la Serbia quest'estate al loro concerto in giugno a Novi Sad.(leggete qui su blic.rs)


Ma come ha fatto Nick Slaughter (cioè l'attore Rob Stewart) a scoprire del concerto e decidere di visitare la Serbia? Per puro caso!

Un nostro amico su Facebook (Ivan Jovanovic - Jole) è l'amministratore del gruppo "Tropical heat" è stato trovato da Rob personalmente perchè sul suo profilo aveva scritto " Nika Slotera za predsednika" e cosi Rob gli scrisse: "se mi volete come presidente basta solo chiedermelo!".

E così Rob scopre di essere così popolare in Serbia che non solo decide di partecipare al concerto degli Atheist Rap (6 giugno a Novi Sad), ma anche di fare un documentario!

Oltre tutto Rob ha svelato un'altra cosa: che i suoi genitori hanno adottato un bambino che hanno chiamato John. Anni dopo hanno scoperto che il suo vero nome era Branko ed era...avete indovinato: serbo!

Un motivo in più per Rob di fare questo documentario sulla sua vita dopo Tropica Heat (tralatro sul set di Tropical Heat ha conosciuto sua moglie!), sui protesti studenteschi degli anni novanta, sul fenomeno Nik Sloter e sugli Atheist Rap!

Iscrivetevi al Gruppo di Ivan su Facebook, e rimarrete informati sulla storia..... ecco il link!

Sunday, April 5, 2009

Lingua slovena. Lezione 3

Allora care studentesse e cari studentessi ;)
oggi diamo un'occhiata abbastanza "easy" alla lingua slovena. Poi, in seguito, approfondiremo i punti uno ad uno.

La lingua slovena ha tre generi, tre numeri e tre persone.
I generi sono:
- Maschile (moški spol): jelen (cervo), travnik (prato), stol (sedia);
- Femminile (ženski spol): riba (pesce), reka (fiume), jelka (abete);
- Neutro (srednji spol): mesto (città), polje (campo), tele (vitello).

I numeri sono:
- Singolare (ednina);
- Duale (dvojina);
- Plurale (množina).
Il duale è una singolarità (se mi permettete il gioco di parole) che lo sloveno si porta dallo slavo antico. Questo numero indica, come avrete già capito, due persone o due cose. Nel caso le persone (ma anche animali) siano di sesso differente, si usa il maschile (o almeno così è nel dialetto lubianese, quello da me parlato. Non mi stupirei se, in uno dei 64 dialetti sloveni, si usasse una forma differente...ebbene si, lo sloveno ha 64 dialetti!).

Le persone sono:
- La prima persona (prva oseba);
- La seconda persona (druga oseba);
- La terza persona (tertja oseba).

Come in tutte le lingue slave meridionali l'articolo non esiste.

Il verbo Biti (essere)
Biti è l'unico verbo ausiliare necessario alla formazione dei tempi composti. Vediamo la sua coniugazione al presente:
Singolare
Jaz sem
Ti si
On/Ona/Ono je

Duale
Midva/Midve/Medve sva
Vidva/Vidve/Vedve sta
Onadva/Onidve/Onedve sta

Plurale
Mi smo
Vi ste
Oni/One/Ona so

Per il momento è tutto
Stay tuned!

Na svidenje!

Omologhi


Berisha viene descritto così dalla moglie del dittatore Hoxha: "è entrato a casa nostra dalla porta di servizio. Era un fanatico comunista e già da allora faceva l’impossibile per ottenere con esagerato zelo il potere"...


"Fanatico comunista" detto dalla moglie dell'efferato Enver Hoxha mi risuona forte nella mente!

Eppure il cardiologo, chirurgo e ricercatore Berisha... è lì. Alla guida della terra delle Aquile!

Sicuramente un politico di lunga esperienza, sicuramente un demagogo dei peggiori.


Oggi "Sala" - come lo chiamano un po' tutti in Albania - è Primo Ministro nonostante sia stato lui stesso (e lo ammette!) a trascurare nel 1997 il fenomeno delle piramidi finanziarie che portarono l'Albania alla recessione totale da cui ancora oggi il Paese fatica ad uscire. E dire che nel '97 era Presidente della Repubblica... non ministro delle pari opportunità o delle politiche sociali o dei fichi secchi...


Questa breve anticipazione per raccontare cosa sta succedendo in Albania:


il nostro Premier (Lo Smemorato di Cologno evidentemente non ricordava che Berisha è stato un "fanatico comunista") ha incontrato Sala a dicembre per firmare accordi energetici che in teoria dovrebbero portare giovamento ai due paesi. Pare che all'Italia un giovamento arriverà dato che l'Albania (ndr Berisha) ha offerto all'Italia (ndr Berlusconi) di costruirsi un bel po' di impianti per la produzione di energia sulla costa albanese:




a Karaburun, per esempio, una delle aree costiere più belle dell'Albania e meno contaminate. Per mezzo secolo e più, la penisola a sud di Valona, è stata isolata dal resto del Paese in quanto soggetta a servitù militare.E' un'area vergine di rara bellezza che poteva diventare la Corfù o la Mikonos dell'Albania, 97 ettari di parco naturale, di Mediterraneo da riscoprire crocevia delle correnti dello Jonio e dell'Adriatico. 97 ettari sui quali verranno costruiti ventoloni per la produzione di energia eolica... 97 ettari di piattaforme di cemento...


a Fier (già inquinatissima dai pozzi di petrolio) si pensa di costruire un termovalorizzatore... (non certo un depuratore!)


in altre aree Berisha si è detto pronto a costruire centrali atomiche...


Insomma fra una barzelletta è l'altra i due premier si sono molto divertiti (sprizzano simpatia da tutti i pori) e hanno ancora una volta fatto capire al mondo che non serve che il popolo si interessi al paese: l'Albania diventerà la colonia energetica dell'Italia (e molto probabilmente la nostra multi pattumiera per la differenziata), non godrà dell'energia prodotta (perché sarà totalmente venduta) mentre ancora una volta i grossi investitori, mafiosi di tutte le nazionalità, godranno della costruzione e poi della manutenzione degli impianti.


I rifiuti albanesi continueranno a bruciare lungo i fiumi, le pecore a inghiottire diossina, i ragazzini rom a correre scalzi e gli albanesi ad assistere alla brutta copia albanese di Striscia la Notizia dove si annuncia che l'ennesimo Ministro del governo Berisha viene arrestato per corruzione, per violenze sessuali, stragi o per chissà cos'altro!


Ma i due Omologhi restano sempre i... migliori ed a noi l'amaro in bocca...



Thursday, April 2, 2009

Grande Dom !



Questo post è dedicato alla mia collega S. Qualche giorno fa ha esordito con la frase: “Gli stranieri sono tutti criminali, non so’ tu come fai ad avere amici rumeni e albanesi”.
La risposta è stata fulminea : “Si vede che sono più criminale di loro”. E lei: “No, tu sei una brava persona!” . E io : “Tu no!”
Ah! Ah! Pietro dove sei ? Io sono ai tuoi piedi, in ginocchio a chiederti scusa ! Altro che criticare i razzisti del nord-est ! Io ce l’ho gomito a gomito ogni giorno ! Razzisti italiani, venite a Torino a fare un corso di aggiornamento !
Ma come sempre ad ogni problema N.S. ci mette una pezza.
Da quando è nato questo blog non è successo altro che ci capita ogni giorno di incontrare gente favolosa. Credo che il primo in ordine di tempo sia stato Riccardo e l’ultima Lorenza.
Nei giorni scorsi è apparso un bellissimo personaggio. Domecat. Tutto subito ci siamo incuriositi e in 3 minuti avevo scoperto chi era. Era un’altra favola.
Domenico è nato dopo di me, per volere di Nostro Signore che aveva esagerato facendomi impulsiva e amante del rischio. Ogni litigata lasciata è persa e ogni problema va preso di petto, mai giraci attorno. Così necessitava il mio esatto contrario. Domenico è l’equilibrio fatto persona. Mai una presa di posizione estremista. Lui cerca sempre l’incontro con tutti e se non lo trova, se ne va e rifiuta lo scontro. Io mi trovo bene a parlare con lui, riesce a farmi ragionare e stare calma. Questa è una cosa che sanno fare pochi. Ma lui dice sempre : “tanto Lina le cose non le cambi !”.
Parole sante ! Così abbiamo iniziato a parlare di balkani e le sue idee sono così favolose che l’ho quasi costretto in una intervista. Siamo andati a ruota libera…



Nel lontano 1989 ero senza lavoro e un amico mi ha invitato ad unirmi a lui in veste di accompagnatore per una scampagnata in Bosnia, precisamente a Bihac.
Mi sono trovato subito in sintonia con la gente, molto ospitale e simpatica.
Devo dire che la mia prima esperienza in Jugoslavia nel 1985 a Rab, invece fù per me un trauma. Sono fuggito in autobus dall'isola solo dopo tre giorni, prendendo addirittura un taxi poi da Rijeka fino a Trieste.
Allora ero giovane e folle probabilmente.
Nel 1990, in un secondo viaggio di piacere a Bihac , su nostra proposta, Antoaneta venne in Italia e coraggiosamente lasciò tutto.
Lei era insegnante di Storia dell'arte nella sua terra ( laureata in accademia di belle arti) studente prima a Sarajevo e sucessivamente a Beograd. Così facendo si salvò dall’ assedio della sua città, "Bihac" durante la triste guerra dei balkani.



Conviviamo da 19 anni e torniamo lì spesso, dividendoci tra Croazia e Bosnia. Mi manca da vedere la parte della Serbia, dove abbiamo molti amici.
Non vedo l'ora di visitare Beograd, e andare magari andare su uno di quei barconi "Splavovi" sul Danubio; quelli che ancora profumano di specialità, buona musica dal vivo, caos.
Non quelli troppo disco club chiaramente. Sono un nostalgico delle vecchie tradizioni.


Antoaeta lavora in un asilo, io sono freelance nel campo visual in genere : illustrazione, pittura, produzione di cartoons, Dvd, web design e altro ancora...
Per quanto riguarda le specialità culinarie balchaniche, ne sono molto goloso. Però quì, in Italia sono molto difficili da trovare alcuni ingredienti, vedi kupus per la sarma e altre cose.
Antoaneta me le prepara quando può, però diciamo che mangiamo alla mediterranea, il che non è male.
Siamo cattolici tutte e due, ma non siamo praticanti.


Vivere alla balkan, si... non sò... credo che sia una forma di chiusura, vedo tanti amici della ex...Jugo quì, che creano il loro clan, frequentano le stesse persone, stessi temi di discussione, ecc. ecc.
Quindi noi viviamo all'occidentale se si può dire così, normale.
Vivere in Bosnia, mah.. non saprei…sicuramente sarebbe bello, metà e metà, diciamo sarebbe bello dividersi tra le due situazioni.
Anche perchè in Italia adesso, la qualità della vita non mi sembra il massimo !!!



Nei miei ricordi spesso penso ad un bellissimo capodanno a Bihac prima della guerra in un Hotel vicino a Bihac, il "CEDRA" nel lontano 1989.
Ero come su di un set cinematografico, musica balkana, bellissima armoniosa vivace, grandi bevute, bicchieri rotti sul pavimento, ballando il Kolo lungo tutto l'hotel, tutti insieme felicemente ancora, prima dei tragici eventi... bellissimo quanto erano sereni, amici, fratelli e solo un anno o due arrivò il caos !

Sono una persona che nei balkani predilige le cose umili e i vecchi contadini che hanno una vita vera da raccontare, con la faccia scavata dall'esperienza della vita, come in certi quadri Naive.




Come vedi le politiche balcaniche ?

Una domanda a cui rispondere è difficilissimo. Io ho vissuto il periodo poco prima della guerra in Bosnia... Una terra misteriosa dove si incrociano tre culture, Ortodossa, Cattolica e Musulmana. Tutto sembrava rose e fiori tra tutte le varie etnie. Ma sotto covava probabilmente già il fuoco che di lì a poco sarebbe esploso in una forma aberrante e in un nazionalismo estremo da tutte le parti in causa.
Con grande colpa dei politici occidentali nel preparare con cinismo altrettanto estremo, una guerra che mi ha spezzato il cuore, dove ho perso diversi amici, persone care da tutte le parti combattenti.
Purtroppo ha prevalso la parte più brutta delle persone, l'egoismo, l'ignoranza tra le diverse culture.
Dopo l'esperimento di Tito che per me è stato positivo, probabilmente delle menti folli non vedevano l'ora di appropriarsi dell'ingenuità dei giovani che sono caduti nel tranello dello scontro fisico, con le promesse di un nuovo paese quale? sarebbe stato solo il loro? di chi? questo vale per tutti.
Con la sottomissione dei propri fratelli dico, essendo tutti slavi in fondo, solo con una diversa religione o una diversa tradizione.
Prima della guerra non ho mai sentito un discorso inerente alla maledetta religione che ha anch'essa una grande colpa.
Ed ora cosa hanno ottenuto? La situazione è talmente diversificata: i Croati hanno i loro pitbul, i Serbi idem i Musulmani sono diventati un po’ più integralisti.
La Nazione Bosniaca e a macchia di leopardo... mi chiedo come possano ritrovare un equilibrio, mi viene in mente la scena del film "No man’s land"
Due ragazzi spaventati, scioccati per una guerra inutile a mio avviso, si chiedevano di chi è la colpa: "è tua" "no è tua".
Speriamo che il dialogo ritorni come priorità assoluta, ma temo che l'ignoranza, l'egoismo, i facili guadagni, come avviene anche da noi, predomineranno e continueranno, sfociando in un cammino di sofferenza di continue ed inutili incomprensioni.
Forse è il caso di dire "si stava meglio quando non avevamo niente".
C'è da dire una cosa che ammiro ed ho invidia, in tutta la gente Balkan ho notato una grande forza caratteriale. Basta un niente per ritrovare la gioia di trovarsi insieme e superare qualsiasi ostacolo.
Quindi direi a tutti i fratelli Balkani di sforzarsi e di riabbracciarsi... in fondo senno’, che futuro attende i loro figli?
Camminare sempre con gli occhi sulla schiena...?
Mi auguro che prevarrà il buon senso. Questo mi auguro, per un pianeta veramente migliore senza più guerre e politiche inutili.
Lavoriamo per noi, su di noi non per i politici !




A questo punto ho chiesto a Domenico cosa ne pensa del razzismo verso gli stranieri:
Ah! Ah! Proprio noi italiani che abbiamo esportato criminalità in tutto il mondo ! E poi soffro quando incontro un italiano che mi dice : “ Balkani? Di là sono tutti zingari!” . Chiudo col dire che mi dissocio da tutte le persone estremiste e razziste, che siano italiane o di qualsiasi altra nazionalità.

Guardate le bellissime opere di Domenico
Guardate che bella Bihac.
Ecco lo spezzone di No men's land.

Kosovo me fat ?


Siete invitati il 2 Aprile 2009 presso il Cinema Modernissimo, in Via Cisterna dell'Olio a Napoli per la proiezione del documentario : Kosovo me fat ? Frammenti di uno stato nascente.
Il documenatrio è stato girato da Mario Leombruno e Luca Romano e si prefigge di fotografare la situazione kosovara al di sopra delle parti.
Poichè alla realizzazione del documentario ha collaborato anche il nostro amico Antonio, abbiamo pensato di rendervi partecipi dell'evento.
Potete comunque trovare questo reportage anche in questo LINK


TRASLOCO

  In foto la statua di Ivan Mestrovic, lo scultore croato che ama lavorare per la Serbia Ci siamo trasferiti in 5 altri siti Uno si chiama  ...